Meditazioni sul Vangelo

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Med. br95

Non abbiamo fede (Lc 17, 5-10)

In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Ecco ciò che accade a chi segue veramente il Signore, un giorno si scopre uomo di poca fede. Eppure, gli apostoli erano stati conquistati da Gesù: il suo sguardo, la sua bontà, la sua sapienza, la sua libertà, i suoi poteri, tutto in lui affascinava e prometteva di rispondere alle attese più profonde del loro cuore; e così, avevano lasciato tutto e lo avevano seguito per città e villaggi, per mari e per monti, nelle acclamazioni e nelle persecuzioni; non era poca cosa la fiducia che avevano posto in Gesù, ma più lo seguivano, più si rendevano conto di non avere fede; ed erano i suoi apostoli.

Ma cos’era che causava questa consapevolezza? Il confronto fra la santità di Gesù e la loro povertà. A forza di stare con Gesù vedevano sempre più chiaramente che il suo fascino dipendeva dalla sua unione con Dio, dal suo abbandono alla volontà del Padre, dalla profondità della sua preghiera. Più vedevano la grandezza di Gesù, più vedevano anche la loro piccolezza. Di qui il loro desiderio di avere una fede più grande per essere più uniti a Dio e vivere una vita simile a quella di Gesù.

Possiamo quindi dire che un segno sicuro per sapere se veramente stiamo seguendo il Signore, è il riconoscere la nostra poca fede; dobbiamo provare una certa inquietudine nel constatare che non abbiamo la fede che sarebbe auspicabile, è necessario che ci sia un certo timore perché: senza la fede è impossibile piacere al Signore (Eb 11, 6). La richiesta degli apostoli rivela anche un paradosso: più uno ha fede, più è consapevole di non averne a sufficienza. Il paradosso è simile a quello della conoscenza: uno veramente sa, quando sa di non sapere; lo dice anche San Paolo: Se alcuno crede di sapere qualche cosa, non ha ancora imparato come bisogna sapere (1Cor 8, 2). O ancora: più uno diventa santo più si scopre peccatore. Noi non siamo molto santi perché non vogliamo sapere di essere dei grandi peccatori. Chi segue veramente Gesù deve mettere in conto di lasciarsi lavorare a fondo da questi paradossi.

San Giovanni Bosco ha compiuto opere straordinarie, ha fatto miracoli e ha avuto sogni profetici; tuttavia, un giorno in sogno San Domenico Savio gli dice: “Don Bosco ha fatto grandi cose, ma se avesse avuto più fede ne avrebbe fatte di più grandi”. Padre Molinié, per illustrare la nostra situazione a proposito della fede, racconta un detto in cui un contadino è interrogato a proposito della raccolta delle mele: “Avremo delle mele quest’anno? - Sì, sì, avremo delle mele, ma dire che avremo veramente delle mele, no, non avremo delle mele”. Anche della fede di un cristiano si può dire: “Sì, sì, ha la fede, non si può dire che non abbia la fede, ma per dire che abbia veramente la fede, no, non ha la fede”. E il Signore ci invita a prenderne atto: Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe. Il che significa che non abbiamo una fede grande come un granello di senape. Nel vangelo di Matteo è ribadito lo stesso concetto: Se avrete fede pari a un granello di senape, direte a questo monte: “Spòstati da qui a là”, ed esso si sposterà, e nulla vi sarà impossibile.

Queste immagini sembrano non avere alcuna relazione con la nostra vita quotidiana, e poi, neanche Gesù ha trapiantato i gelsi in mare e spostato le montagne. Per cercare di comprendere non dobbiamo considerare le cose da un punto di vista materiale ma spirituale, allora scopriremo che le due immagini dicono qualcosa di importante sulla vita cristiana. Infatti, un gelso per natura vive sulla terra, le sue radici traggono vita dalla terra; così è di ognuno di noi, nel senso che la nostra vita è alimentata dai beni di questo mondo; tuttavia, la vita cristiana comporta un passaggio da una vita naturale a una vita soprannaturale, per cui le nostre radici, trapiantate nel mare dell’amore di Dio, trarranno dall’amore di Dio alimento e vita. Ci vuole però non piccola fede per credere efficacemente a questo passaggio e a questo destino. Credere efficacemente vuol dire che la nostra fede deve determinare i nostri comportamenti. Un apostolo poi, o un sacerdote, o un uomo di fede, nella misura della loro fede, collaborano con il Signore per trapiantare gli uomini dalla terra al Cielo; e ogni trapianto è un miracolo, perché non avviene in forza della natura ma della grazia.

La vita cristiana è anche simile alla liberazione degli Ebrei dalla schiavitù dell’Egitto e al loro cammino nel deserto per raggiungere alla Terra Promessa, ma questa liberazione e il raggiungimento della meta non sono stati una passeggiata, hanno comportato il superamento di innumerevoli difficoltà, pericoli, battaglie, scoraggiamento, ribellioni, cadute… in una parola: hanno dovuto superare a più riprese difficoltà grandi come delle montagne; e le hanno dovute superare non solo con risorse naturali, ma soprattutto mediante la fede. Così ogni cristiano, nel suo esodo da questo all’altro mondo, deve affrontare a più riprese difficoltà grandi come una montagna, ma non le potrà superare se non in virtù della fede, la quale opera il miracolo di spostare ogni montagna dal cammino di coloro che credono, che sperano e che amano. Senza la fede è impossibile spostare le montagne, allora, giustamente gli apostoli ci suggeriscono di chiedere al Signore di aumentare la nostra fede.

La prospettiva di compiere azioni prodigiose mediante la fede, evocata dall’immagine del gelso trapiantato in mare, poteva suscitare negli apostoli il desiderio di ricevere immediatamente il dono di una fede almeno grande quanto un granello di senape, ma nella condizione in cui si trova l’uomo decaduto, i doni più preziosi rischiano di essere causa di perdizione anziché di santificazione, perché questo non accada è necessario un cammino più o meno lungo di purificazione del cuore. Parlando del giudizio finale il Signore dice di alcuni: In quel giorno molti mi diranno: “Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?”. Ma allora io dichiarerò loro: “Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!” (Mt 7, 22-23). Questo per dire che anche una fede capace di operare miracoli può essere pericolosa, perché si possono fare miracoli per la gloria del proprio io, anziché per la gloria di Dio.

Allora, un possibile senso delle parole - Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? -, potrebbe essere quello di far riflettere gli apostoli sul fatto che non è bene concedere subito il dono da loro chiesto, è più prudente che prima compiano tutto quello che è stato loro ordinato; ossia faticare nei campi e al rientro servire ancora il loro padrone, inoltre, anche dopo aver terminato ogni lavoro, non ci deve essere in loro nessuna pretesa di ricevere alcunché. Quando il padrone vedrà nel loro cuore l’umiltà di chi, avendo a lungo faticato, ha finalmente compreso di essere un servo inutile, allora, come è detto in un’altra parabola, il Signore si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli (Lc 12, 37).

La condizione per ricevere grandi doni, come una fede che scaccia i demoni e sposta le montagne, è l’umiltà; se manca questa è pericoloso anche avere una grande fede. San Paolo insegna: Se possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla (1Cor 13, 2); la carità poi, non può esserci senza l’umiltà. Ma l’umiltà va messa alla prova per poterne conoscere il valore; noi saremo veramente umili quando, avendo lavorato nei campi in cui il Signore ci ha chiesto di lavorare, non ci riterremo meritevoli di nulla e non esigeremo nulla, ossia ci riterremo dei servi inutili; un servo inutile cosa può mai pretendere: nulla! A quanti raggiungono questa umiltà ogni dono può essere concesso, soprattutto il dono dei doni: l’intima unione con Dio. Tutto il lavoro che facciamo, tutto ciò che ci accade, serve a farci raggiungere l’umiltà necessaria perché Dio possa farci questo dono.

La Santa Vergine ci aiuti a comprendere le parole di suo Figlio e a raggiungere l’umiltà di chi accetta con gioia di essere un servo inutile.

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  • Ultimo aggiornamento 09-01-2024

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    Cristo giudica il ricco malvagio - Un caso di impenitenza finale - Esame dei sentimenti del ricco - Il pensiero di Santa Caterina da Siena - La parabola nell’opera di Maria Valtorta - Più di un morto che risuscita...

  • Le riche épulon et le pauvre Lazare Francese

    Le Christ juge le mauvais riche - Un cas d’impénitence finale - Examen des sentiments du riche - La pensée de Sainte Catherine de Sienne - La parabole dans l'œuvre de Maria Valtorta - Plus qu’un mort qui ressuscite...

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    Difficoltà di valutare il senso del tempo - Un compito troppo difficile - L’invito inascoltato - L’inevitabile combattimento.

  • Aprì loro la mente per comprendere le scritture

    Non è così facile comprendere le Scritture - Il centro delle Scritture - Un progetto singolare - Non è una questione di belle parole.

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  • Gli invitati al banchetto di nozze - 2

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  • Gli invitati al banchetto di nozze - 1

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    Non ho nulla da offrirgli - Un singolare amico - Non conosciamo noi stessi - Fatti per un altro mondo ...

  • La parabola degli operai nella vigna (Mt 20, 1-16)

    Difficoltà  di comprendere un comportamento ingiusto - Ingiustizia che torna a nostro favore - Chi consola questa parabola.

Consapevole che le meditazioni proposte non sono che incerti balbettii, faccio appello alla carità  del lettore perché vengano accolte con benevolenza. In fondo, davanti a Dio, siamo tutti dei bambini bisognosi di imparare a parlare l'unica lingua che si parli nel suo Regno, la lingua dell'amore.

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