Meditazioni sul Vangelo

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Med. br112

Gesù salì sul monte (Mt 5, 1-12a)

 Beatitudini

Dopo i percorsi discendenti per andare a farsi battezzare nel Giordano e per andare da Nazaret a Cafarnao, in questa occasione Gesù compie un movimento ascendente: vedendo le folle, Gesù salì sul monte. La sua fama si stava diffondendo sempre più e le folle accorrevano per vederlo e sentirlo, per farsi guarire e istruire; coloro che con retta intenzione si avvicinavano a lui non erano delusi, respiravano un’aria nuova, le cose di Dio erano insegnate con sicurezza e autorità, il suo volto irradiava una bontà che attirava e metteva tutti a proprio agio, in una parola, agli onesti veniva dato di gustare qualche primizia del Regno dei cieli ma, per diventarne pienamente eredi, bisognerà salire, allora: vedendo le folle, Gesù salì sul monte.

La fatica di salire

Gesù, sceso dal cielo per cercare l’uomo caduto, incapace di rialzarsi e destinato a morire come l’uomo percosso dai briganti sulla strada che scendeva da Gerusalemme a Gerico, è il celeste Samaritano che si fa vicino, guarisce, risolleva e invita a salire verso la casa del Padre suo. Così, questo salire sul monte seguito dai discepoli, è ancora una figura eloquente della sua missione e di ciò che attende chi lo segue. Per raggiungere la Gerusalemme celeste, per entrare nel Regno, bisogna “salire”, ma salire costa fatica; la fatica a livello fisico è figura di quella a livello spirituale, il riposo verrà poi, quando Gesù: si pose a sedere, ma dopo la fatica della salita; allora: si avvicinarono a lui i suoi discepoli; si potrebbe aggiungere: “e trovarono in lui riposo”.

Nei confronti delle parole di Gesù, tutti rischiamo di schivare la fatica richiesta per comprenderle, assimilarle e farle diventare operative nella vita. San Giacomo nella sua lettera denuncia questo pericolo con un’immagine: se uno ascolta soltanto e non mette in pratica la parola, somiglia a un uomo che osserva il proprio volto in uno specchio: appena s'è osservato, se ne va, e subito dimentica com'era. Così noi, pensiamo che sia sufficiente ascoltare soltanto ciò che sentiamo durante le letture e le omelie della Messa, ma poi: subito dimentichiamo. Per non dimenticare dobbiamo “ruminare” ciò che abbiamo ascoltato, ossia pensare e ripensare, almeno a un frammento, di ciò che è stato proclamato durante la liturgia o ci è capitato di leggere; quando lo facciamo ci accorgiamo di fare una fatica enorme, come giustamente fa chi è impegnato a salire su un alto monte; e qual è il risultato di questa fatica? Quello di dover ammettere di capire poco o niente delle parole che Dio ci dice; tuttavia, ci conviene perseverare in questa fatica apparentemente inutile, perché essa attira la grazia che ci darà di comprendere ciò che mai riusciremmo a comprendere da soli.

Santa Teresina di Lisieux opportunamente fa notare che: “Gl’insegnamenti di Gesù, come sono contrari ai sentimenti della natura! Senza il soccorso della grazia sarebbe impossibile non solamente metterli in pratica, bensì anche capirli” (Man C 1, 301). La fatica e il non capire, sono due segni che indicano il nostro giusto procedere, invece, devono molto temere coloro che non vogliono faticare, o che troppo presto credono di aver capito. Una parola non ruminata e non assimilata non nutre e non irrobustisce l’anima, la quale rimane debole ed esposta alle malattie spirituali, alle seduzioni del mondo e alle insidie del demonio.

Le beatitudini

Una volta giunto sul monte e messosi a sedere, Gesù inizia a istruire coloro che sono saliti con lui, inizia con il famoso discorso delle beatitudini: Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi. Questo discorso, talmente insolito e sconcertante, può suscitare diverse reazioni: ci può essere chi prova una totale repulsione e decide di stare alla larga da Gesù e dai suoi insegnamenti; altri avranno sentimenti contrastanti, in parte si sentiranno respinti da tali parole e in parte ne percepiranno il fascino; altri ancora troveranno in esse pace e consolazione; il caso peggiore è degli indifferenti, perché l’indifferenza è come una lebbra che corrompe l’anima facendola diventare sempre più ripugnante.

Conviene considerare che le beatitudini non ci chiedono primariamente di fare qualcosa, infatti, dalle parole di Gesù appare che sono beati coloro che non sanno di esserlo; si tratta di essere onesti e prendere atto di una situazione di fatto esistente. Non c’è da fare qualcosa per diventare poveri, per essere afflitti, nel pianto, o per essere perseguitati; sono situazioni che tanto o poco, prima o poi, tutti ci riguardano; le beatitudini descrivono la condizione delle legittime aspirazioni umane che, per vari motivi, sono irrealizzabili su questa terra. Ma Gesù ci consola assicurando che ogni santo desiderio, ogni esigenza vitale, avranno una risposta, però la risposta è talmente enorme che non è compatibile con la vita presente, sarà necessario accedere a un altro mondo per ricevere, oltre ogni attesa, una grande ricompensa. Questo a qualcuno può non piacere. Si sentiranno respinti da tali parole quelli che credono solo a quello che vedono e vogliono la felicità qui e ora; quelli che non tollerano l’umiliazione della povertà; quelli che vogliono assolutamente evitare ogni occasione di pianto; quelli che vogliono piacere a tutti e sono disposti a ogni compromesso pur di conservare la propria tranquillità… A questo proposito il cardinale Giacomo Biffi ricorda che: “Gesù non si è mai impegnato - anche se ce lo dimentichiamo regolarmente - a darci tranquillità, prosperità, successo, trionfo”.

Dobbiamo inoltre considerare che quanti non accettano la condizione umana, che è una condizione di fondamentale povertà, diventano sempre più avidi, violenti, corrotti e crudeli; nell’impossibile tentativo di soddisfare le loro voglie, di colmare il loro vuoto, di realizzare il loro delirio di onnipotenza, non guardano in faccia a nessuno, opprimono impietosamente i propri simili sfruttandoli, manipolandoli, ingannandoli; sono anche abili e spregiudicati nel mascherare i loro oscuri disegni mostrando una falsa preoccupazione per il bene comune… ma il Signore non si irride e non s’inganna, e li avverte: Guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione (Lc 6, 24).

Il discorso delle beatitudini è paradossale, Gesù dichiara che ciò da cui vorremmo naturalmente fuggire come la povertà, il pianto, le persecuzioni, le ingiustizie, i disagi, sono invece tesori che ci spalancano le porte del Regno, ciò che noi riteniamo un male ci procura invece un sommo bene per l’eternità; chi è povero, tribolato, perseguitato è già beato e non lo sa. Ben strani sono i discorsi del Signore, mai coloro che sono superficiali, distratti, soddisfatti, potranno coglierne i segreti.

Beati i poveri in spirito

Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli, è la beatitudine che apre il discorso e in qualche modo lo riassume. Importa allora capire bene come bisogna intendere il termine povertà; conviene considerare la povertà fondamentale della creatura di fronte al Creatore, ogni creatura è povera perché non ha l’essere da sé, ma lo riceve, questa povertà caratterizza anche la condizione umana e nessuno può sfuggirvi. Ma insieme alla povertà abbiamo anche una forza che tende a colmarla, questa può condurre sia alla beatitudine, sia alla perdizione, inoltre, nella povertà c’è anche un’indicazione della nostra grandezza.

Chi è il povero? Colui che non ha di che vivere; e questi siamo noi, perché ogni uomo non ha in sé la vita, che pure desidera con tutte le sue fibre; ogni umo sperimenta in sé un vuoto che cerca di colmare come può, tende così a passare dalla povertà alla ricchezza in ogni ambito: materiale e spirituale; ma, con un minimo di esperienza e di onestà intellettuale, può presto rendersi conto che, per quante ricchezze possa accumulare, mai queste riusciranno a colmare il suo vuoto. Chi accetta umilmente questo dato di fatto e si interroga su cosa esso significhi, potrà scoprire, con l’aiuto della Grazia, che proprio la sua irrimediabile povertà indica anche la sua vera grandezza, in quanto niente può veramente arricchire l’uomo se non Dio solo, per questo il povero è beato, perché nel regno dei cieli Dio stesso sarà la sua ricchezza.

Ma chi non accetta la fondamentale povertà della condizione umana non è un povero in spirito, perché non è umile e, con ogni mezzo, pretende orgogliosamente di rimediare alla sua povertà accumulando potere, prestigio e ricchezze… si avvia così verso la perdizione perché, in fondo, pretende di salvarsi da solo, si affida a un salvatore che non è Cristo e cerca la vita volendo fare a meno di colui che ha detto: Io sono la vita (Gv 14, 6). Questo atteggiamento è grave e pericoloso perché dipende da un’illusione, l’illusione generata proprio dalla ricchezza. Gesù chiama la ricchezza disonesta (Lc 16, 9), perché promette la felicità e la vita, ma non mantiene la promessa. Ciò che dona nell’immediato lo cambia in tormento e morte per l’eternità. Infatti, uno dei mezzi utilizzati da quelli che hanno fame e sete per estinguere la loro sete, è quello di affidarsi a colui che ha tentato di corrompere anche Gesù: Il diavolo lo condusse in alto e, mostrandogli in un istante tutti i regni della terra, gli disse: «Ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni, perché è stata messa nelle mie mani e io la do a chi voglio. Se ti prostri dinanzi a me tutto sarà tuo» (Lc 4, 5-7). Purtroppo, coloro che non vincono la tentazione, e vogliono ad ogni costo la potenza e la gloria di questi regni, ottengono veramente su questa terra il potere e la gloria che desiderano, con l’effetto collaterale di causare sofferenze e guai a non finire fra gli uomini, ma per l’eternità staranno con chi avranno scelto di adorare. Anche per questo Gesù dice: Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, ossia fame e sete della vita che viene da un rapporto personale con Gesù, perché la vita che non viene da lui è ingiusta.

Beati i miti, i misericordiosi, i puri di cuore...

La beatitudine della povertà riassume un po’ tutte le altre perché, sotto vari aspetti, si ritrova in tutte; per scoprirlo dobbiamo considerare che i miti, i misericordiosi, i puri di cuore, i perseguitati per la giustizia, gli operatori di pace… proprio in quanto hanno la grazia di avere queste qualità, vorrebbero che tutti le avessero e vivessero secondo tali virtù, perché allora la vita sarebbe serena, pacifica, feconda… invece, si ritrovano a vivere in un mondo in cui troppi non sono né miti, né misericordiosi, né puri di cuore, né giusti, né pacifici, il loro desiderio di bene incontra quindi delle resistenze, non è completamente soddisfatto e procura dolore, proprio perché non riesce a diffondersi come vorrebbero, sono quindi anche loro poveri in quanto non hanno ciò che desiderano. Ma Gesù assicura che proprio l’esercizio delle virtù in un mondo ostile li rende già beati e, nel Regno dei cieli, avranno pienamente realizzato il loro desiderio. Ogni desiderio di bene, messo alla prova in un mondo corrotto, non lasciandosi corrompere dimostra il suo pregio, meritando così una grande ricompensa. Questa sarà particolarmente grande per coloro che, nel diffondere la conoscenza e l’amore del Signore, subiscono ogni sorta di persecuzione.

La Santa Vergine ci conceda di comprendere e vivere queste cose, per ottenere la grande ricompensa promessa da suo Figlio.

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Consapevole che le meditazioni proposte non sono che incerti balbettii, faccio appello alla carità  del lettore perché vengano accolte con benevolenza. In fondo, davanti a Dio, siamo tutti dei bambini bisognosi di imparare a parlare l'unica lingua che si parli nel suo Regno, la lingua dell'amore.

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