Meditazioni sul Vangelo

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Med. br136

Il seme e il terreno (Mt 13, 1-23)

Il seminatore

Una grande folla si era radunata intorno a Gesù nei pressi del lago di Tiberiade, allora, Gesù salì su una barca e parlò loro di molte cose con parabole. Le parabole sono dei racconti che utilizzano immagini a noi familiari per aiutarci a compiere il passaggio da ciò che comprendiamo a ciò che non comprendiamo, il loro fine è di introdurci nei misteri del regno dei cieli. Se le immagini sono comprensibili da tutti, tuttavia, non a tutti è dato di andare oltre l’immagine per cogliere il mistero del regno. La parabola opera quindi un giudizio, separa coloro che meritano di comprendere, da coloro che non meritano di comprendere, sono come una protezione messa a riparo delle cose sante, affinché coloro che non hanno le disposizioni giuste non possano accedervi.

Non che il Signore voglia nascondere le cose a qualcuno, o voglia proporre dottrine esoteriche, ma parla in parabole perché vuole premiare coloro che dimostrano buona volontà nell’ascoltarlo e fanno qualche sforzo per comprendere ciò che dice: Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell'abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono.

Il rischio di non comprendere la parola di Gesù

Queste parole potrebbero essere comprese nel modo seguente: a colui che ha buona volontà nel cercare di comprendere le parole del Signore verrà dato di comprenderle e le comprenderà sempre più, ma a colui che non ha la buona volontà di ascoltare e comprendere, sarà tolto anche quello che ha. Questa seconda parte dell’affermazione di Gesù fa riflettere, perché allude alle conseguenze a cui vanno incontro coloro che trascurano il compito fondamentale della vita, che consiste nel cercare il senso della vita. Non dobbiamo credere troppo presto di averlo trovato. Il senso della vita lo possiamo scoprire solo ascoltando attentamente le parole del Signore, se però non abbiamo la buona volontà di ascoltarlo veramente, o crediamo di sapere già perché esistiamo, ci verrà tolto anche quello che crediamo di avere, ossia il nostro modo di comprendere la vita. E ci verrà tolta anche la naturale capacità di distinguere il bene dal male, il vero dal falso, perché è sempre dalle parole del Signore che impariamo a conoscere la verità; saremo allora come coloro di cui parla il profeta Isaia: Udrete, sì, ma non comprenderete, guarderete, sì, ma non vedrete. Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile, sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi.

Quando la nostra comprensione della vita non è quella giusta, e viene meno la capacità di discernere il bene dal male e il vero dal falso, le conseguenze non sono indolori, perché corriamo il rischio di ritenere bene ciò che è male e vero ciò che è falso, contribuiamo così ad aumentare in noi e attorno a noi confusione e disordine, e se il disordine diventa grave ci saranno anche morti e feriti. Non è difficile verificarlo osservando ciò che accade nelle famiglie, nella nazione e nel mondo. Per questo il Signore ci avverte: Fate attenzione dunque a come ascoltate; perché a chi ha sarà dato, ma a chi non ha sarà tolto anche ciò che crede di avere (Lc 8, 18).

Non è bene ascoltare tutto e tutti

Ma qual è il modo giusto di ascoltare?… Prima di tutto dobbiamo capire chi merita di essere ascoltato da chi non lo merita; oggi siamo invasi da un diluvio di parole e a nostra volta diciamo troppe parole vane. Trascuriamo allegramente il severo ammonimento del Signore: Di ogni parola vana che gli uomini diranno, dovranno rendere conto nel giorno del giudizio (Mt 12, 36). Succede allora che, nauseati da un’eccesso di parole inutili, non ascoltiamo più nessuno, perché inebetiti da troppe parole che non dicono nulla; anche il Signore, che meriterebbe la massima attenzione, non lo ascoltiamo più. La profezia di Isaia è più che mai attuale: Udrete, sì, ma non comprenderete, guarderete, sì, ma non vedrete. Tante cose succedono in noi e attorno a noi, le vediamo e le ascoltiamo, ma non ne comprendiamo il senso.

Per educare il nostro orecchio ad ascoltare le cose che meritano di essere ascoltate, dobbiamo chiuderlo alle voci del mondo; ma ci vuole impegno e determinazione. Il mondo ci inocula i suoi veleni soprattutto attraverso i mezzi di comunicazione, dovremmo temerli di più e prenderne le distanze. Si propongono di trasmettere informazioni obbiettive, ma sono per lo più manipolate e tendenziose, nel senso che tendono a orientare i nostri giudizi in vista di obbiettivi decisi da potenti gruppi di potere, i quali li presentano come utili per il bene comune, quindi, tutti dobbiamo contribuire al loro raggiungimento; pretendono diffondere cultura e conoscenza, ma i contenuti sono pieni di errori, in quanto dipendono da una comprensione della realtà che non è conforme al disegno di Dio; gli spettacoli proposti non edificano, ma riflettono in gran parte il degrado morale, la superficialità e l’imbarbarimento del linguaggio, che quotidianamente ci affliggono; quasi tutto nei mezzi di comunicazione inquina le nostre menti senza che nemmeno ce ne accorgiamo, in quanto veicolano una “sapienza” mondana che si oppone alla Sapienza di Dio: Chi non è con me, è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde (Lc 11, 23). Fate attenzione dunque a come ascoltate, e anche a quello che ascoltate. Per ascoltare come si deve ci deve essere il desiderio di conoscere le verità ultime, quelle che decidono del senso della vita; se manca il desiderio di conoscere i misteri del regno: Udrete, sì, ma non comprenderete, guarderete, sì, ma non vedrete.

Il seminatore uscì a seminare

Il seminatore uscì a seminare, e che cosa semina? La parola del Regno. E dove semina? Lungo la strada, sul terreno sassoso, sui rovi, sul terreno buono. Vi è in questa parabola ciò che possiamo osservare in molte parabole, ossia delle stranezze, degli aspetti che, proprio perché non sono molto ragionevoli, dovrebbero attirare la nostra attenzione, infatti, è strano che un contadino saggio non faccia molta attenzione al terreno su cui getta il seme; perché non è bene sprecarlo, ed è inutile seminare sulla strada, su un terreno sassoso o pieno di rovi. Il divino seminatore è dunque poco saggio? Dove sta la saggezza nel seminare sulla strada, sui sassi e sui rovi? Proprio queste stranezze nascondono una sapienza che eccede i nostri corti pensieri, e un amore che è più grande del nostro cuore, ma non e facile penetrare nei misteri del regno.

In questa parabola ci sono dunque tre attori: il seminatore, il seme e il terreno. Il seminatore semina la parola del Regno, ma il seme può incontrare dei terreni più o meno adatti a riceverlo. Una parola ha lo scopo di comunicare qualcosa a colui che la ascolta, ma che cosa ci comunica Dio con la sua parola? Il padre Molinié ha cercato ed è riuscito a trovare due parole che riassumono il cuore di tutta la Bibbia, ha individuato ciò che nella parola del regno è essenziale. La cosa può apparire strana e avere l’aria di una semplificazione indebita, ma questa semplificazione ha il vantaggio di evitare un pericolo, quello per cui - sempre utilizzando un’immagine di padre Molinié -, rischiamo di vedere nella Bibbia i molti alberi di cui è composta, ma di non vedere la foresta. Ora, la foresta, o la parola chiave che Dio comunica all’uomo è un invito: “Vuoi tu?” - “Veux-tu?” -. Vuoi tu accogliere il mio amore? Vuoi tu accogliermi come unico Salvatore e unico Amante? Questa è la ragione della vita dell’uomo sulla terra: decidere se accogliere o non accogliere l’amore che Dio gli propone.

L’Amante, l’amato e il seme

Secondo questa prospettiva, il seminatore è l’amante, il terreno è l’amato, e il seme è la proposta d’amore dell’amante all’amato. Questa proposta è come un piccolo seme che Dio depone nella vita di ogni uomo; il seme è talmente piccolo che nemmeno ci accorgiamo della sua esistenza, ma le potenzialità del seme sono tali da produrre la cosa più stupefacente che ci sia, vale a dire, l’unione sponsale di Dio con la sua creatura. Come ogni seme, sta a lungo a macerare nella terra, ma prima o poi esce dalla terra e tende a crescere. Il seme che esce dalla terra è quando diventiamo consapevoli che le parole di Dio, tante volte ascoltate e poco comprese, sono proprio la proposta d’amore di un amante alla sua amata. È a questo punto che appare la qualità del terreno su cui il seme è caduto.

Una proposta d’amore da parte di Dio è una cosa seria ed esige necessariamente una risposta, e la risposta può essere: sì, l’accetto; no, non l’accetto. Il terreno buono è di quanti rispondono positivamente all’amore di Dio e producono frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. I frutti sono quelli che nascono dall’unione di Dio con quanti accolgono il suo amore, e sono: prima di tutto una crescita nella conoscenza e nell’amore di Dio, e in secondo luogo il diffondersi del suo amore tra i fratelli.

Buoni terreni producono buoni frutti

Crescere nella conoscenza di Dio nobilita e perfeziona grandemente l’uomo, perché tanto più è nobile e prezioso l’oggetto della conoscenza, tanto più partecipa al suo pregio colui che lo conosce. Conoscere le leggi che governano il moto dei pianeti, o le opere immortali della letteratura universale, nobilita chi si applica a questi studi, ma conoscere l’autore di tutto ciò che esiste nobilita molto di più chi si impegna a scrutare i misteri del regno. Conoscere Dio è percepire qualcosa della sua intelligenza, della sua bontà, della sua bellezza, della sua potenza… questa conoscenza induce poi a imitarne l’intelligenza, l’ordine, la bontà, la bellezza… ma soprattutto, conoscere Dio è conoscere Colui che è venuto a proporci di entrare nel suo Regno.

Lungo i secoli la parola del Signore ha fecondato molti buoni terreni, e da questi sono sorte molteplici opere di misericordia spirituali e corporali; quanti rispondono di sì al Signore contribuiscono, in vario modo e in varia misura, alla produzione dei raccolti necessari al proprio e all’altrui sostentamento.

Dio vuole essere liberamente scelto

Il rapporto d’amore che Dio vuole avere con la sua creatura è simile a quello dello sposo con la sposa, Dio non vuole costringere nessuno ad amarlo, ma vuole essere liberamente scelto. Se Dio ci avesse creati direttamente in paradiso, e poteva farlo, ci sarebbe stato amore reciproco fra Dio e la creatura, ma non sarebbe stato un amore libero, in quanto la creatura non avrebbe potuto fare altro che amare Colui da cui riceveva ogni bene. Il progetto che Dio ha di fatto voluto, prevede invece che la creatura possa dirgli di sì o di no, senza che sia costretta in un senso o nell’altro, questo comporta un tempo di incertezza in cui la creatura può essere sollecitata a darsi a vari amanti, ma la natura della libertà è tale che prima o poi ognuno dovrà scegliere in modo definitivo l’amore a cui votarsi, e sarà l’amore di sé sopra ogni cosa, oppure l’amore di Dio.

I cattivi terreni

La parabola mostra poi i diversi modi in cui può concretizzarsi il rifiuto dell’amore di Dio; a questo scopo Gesù utilizza le immagini del seme caduto sulla strada, sui sassi e fra i rovi, e ne dà lui stesso la spiegazione: Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Abbiamo dunque una grande responsabilità nel cercare di comprendere bene le parole che Dio ci rivolge, non comprendere la parola del Regno, significa non comprendere l’amore di Dio, allora il Maligno potrà facilmente attirarci verso altri amori, apparentemente più gratificanti e meno esigenti.

Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l'accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Questo secondo caso comprende tutti coloro che hanno capito un po’ l’amore di Dio, ma non completamente, sono quelli che comprendono l’amore fino a quando l’amore è fonte di gioia, ma non lo comprendono più quando chiede di essere provato col sacrificio: appena giunge una tribolazione… subito viene meno.

Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Fin che siamo su questa terra, la risposta all’amore di Dio va continuamente rinnovata e non è mai completamente sicura, tende a esserlo sempre più, ma è sempre possibile tradire il Signore e scegliere un altro amante, infatti, non mancano quelli capaci di sedurre con le loro ricchezze, soprattutto quando il Signore sembra assente, si è un po’ stanchi per il lungo cammino, e la proposta di un sollievo diverso da quelli che offre il Signore si presenta come un’occasione da non perdere: Eva vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò (Gn 3, 6).

Una saggia stoltezza

Rimane da riflettere sul comportamento poco saggio del seminatore che sparge il seme sulla strada, fra i sassi e fra i rovi. I terreni che non producono frutti, sono anche una figura di coloro che si perdono, ora, nel giorno del giudizio questi potrebbero lamentarsi con il seminatore per non aver ricevuto il buon seme come tutti gli altri, ma avendo il seminatore sparso il seme anche sul loro terreno, non potranno accusarlo di essere stato ingiusto. Non aver prodotto buoni frutti dovrà essere imputato solo alla loro responsabilità.

La Santa Vergine lavori il nostro terreno perché in esso le parole di suo Figlio portino molto frutto.

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Consapevole che le meditazioni proposte non sono che incerti balbettii, faccio appello alla carità  del lettore perché vengano accolte con benevolenza. In fondo, davanti a Dio, siamo tutti dei bambini bisognosi di imparare a parlare l'unica lingua che si parli nel suo Regno, la lingua dell'amore.

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