Meditazioni sul Vangelo

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Med. br122

Un sepolcro vuoto (Gv 20, 1-10)

 Un sepolcro vuoto

Ogni buon Ebreo di sabato osserva il riposo, e così fanno anche i discepoli del Signore, ma Gesù, morto nel pomeriggio di venerdì, era stato sepolto in fretta e il suo corpo non era stato trattato con l’onore e le attenzioni dovute, allora, dopo il riposo sabbatico alcune donne, fra cui Maria di Màgdala, Maria di Giacomo e Salome, comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù (Mc 16, 1). Maria di Màgdala arriva da sola per prima al sepolcro, un amore più ardente la muove più velocemente delle altre, vuole raggiungere prima possibile Colui che il suo cuore ama, anche se il contatto sarà ridotto a un corpo morto. L’amore tende a sfidare anche la morte: Forte come la morte è l’amore (Ct 8, 6). Lo testimonia l’istinto che muove verso la tomba delle persone amate gli uomini di ogni latitudine e di ogni tempo; ma l’amore umano non ha la forza per vincere la morte, questa lo sconfigge. A meno che, Qualcuno dimostri di avere un potere superiore a quello della morte e sia disposto a soccorrere l’uomo nella sua impotenza.

Il mistero della tomba vuota

Quando Maria di Màgdala, di mattino, quando era ancora buio, giunge dove era stato sepolto Gesù, rimane sorpresa; il sepolcro non è chiuso e sigillato come si aspettava, ma è aperto e vuoto. Il suo cuore è allora oppresso da un nuovo dolore: a quello per la morte del Signore si aggiunge quello di non poter onorare il suo corpo, anche la consolazione di stare vicino a Gesù morto le è negata. Ma il dolore è ulteriormente accresciuto dalla sua interpretazione della realtà: Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto! Dopo quanto era successo venerdì, se qualcuno aveva portato via il Signore, non poteva essere che per un ulteriore oltraggio, l’odio verso Gesù dava l’impressione di non fermarsi nemmeno con la sua morte. Corre allora dai discepoli a comunicare la “triste notizia”; gli uomini non hanno che “cattive notizie” da comunicarsi, quelle buone arrivano dall’alto!

Con buone o cattive notizie sono sempre le donne a mettere in moto gli uomini, infatti, sentita Maria di Màgdala, anche Pietro e Giovanni si recano di corsa al sepolcro. Giovanni - quello che Gesù amava -, più giovane e più veloce, arriva per primo, ma è Pietro che, pur arrivando dopo, entra per primo nel sepolcro. Il corpo di Gesù effettivamente non c’è, ci sono però i teli posati là, e il sudario - che era stato sul suo capo - non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Dopo Pietro entra anche Giovanni, e vide e credette.

Interpretazioni contrastanti

Secondo S. Agostino i “lettori frettolosi” interpretano il vide e credette come se Giovanni, avendo visto il sepolcro vuoto, credette alla risurrezione del Signore. Invece, secondo lui, “Vide che il sepolcro era vuoto, e credette a quanto aveva detto la donna, che cioè il Signore era stato portato via”, e lo giustifica con la frase che segue: Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti. Se non avevano ancora compreso la Scrittura, non potevano nemmeno comprendere il significato della tomba vuota. La spiegazione di Agostino sembra ulteriormente avvalorata da un’annotazione del vangelo di Marco; quando la Maddalena annunzia ai discepoli di aver visto Gesù vivo, la loro reazione è: Ma essi, udito che era vivo ed era stato visto da lei, non vollero credere (Mc 16, 11), tra i discepoli c’era anche Giovanni, che era già stato al sepolcro con Pietro. Se non hanno voluto credere alla testimonianza di una persona viva, non potevano nemmeno credere alla testimonianza di una tomba vuota.

Senonché, fra i “lettori frettolosi”, come li chiama Agostino, c’è anche San Giovanni Crisostomo, il quale interpreta il vide e credette in senso opposto; e argomenta come segue: quando Giovanni entra nel sepolcro, osserva i teli posati là, e il sudario - che era stato sul suo capo - non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte; osserva cioè un certo ordine nella disposizione dei teli e del sudario, ma quest’ordine non era compatibile con l’ipotesi del trafugamento del corpo da parte di male intenzionati, i quali non avrebbero certo avuto il tempo e l’agio di togliere il corpo di Gesù dai teli e di lasciare questi così in ordine, quindi, dopo aver visto la tomba vuota e l’ordine degli oggetti che vi si trovavano, è indotto a comprendere la Scrittura e le parole di Gesù secondo le quali, dopo la morte, sarebbe risorto: vede la tomba vuota e crede alla risurrezione.

Chi ha ragione? Come si risolve una simile discordanza di interpretazione da parte di due grandi santi, due padri della Chiesa?… Ci può forse aiutare la considerazione simbolica di un fatto materiale, vale a dire, le ore ancora buie in cui si svolge l’episodio narrato dal vangelo, infatti: Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio. Nelle ore in cui prevale il buio, è normale non vedere molto bene, e così è anche per i grandi santi rispetto ai misteri della fede, di fronte ai quali ognuno cerca andando come a tentoni (At 17, 27), perché camminiamo nella fede e non ancora in visione (2Cor 5, 7), ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo faccia a faccia (1Cor 13, 12). Quando si vede in maniera confusa il pensiero oscilla, a volte sembra di vedere una cosa, a volte sembra di vederne un’altra, gli uni vedono in un modo, altri in un’altro: i ragionamenti di S. Agostino sembrano convincenti, ma anche S. Giovanni Crisostomo espone argomenti condivisibili.

Questo stato di incertezza non è senza ragione, ha una sua funzione, serve a provare il nostro desiderio di verità e di chiarezza. Se tutto fosse immediatamente chiaro e certo, non avremmo nessun merito nel cercare la verità, invece, quanto più uno accetta il disagio e la sofferenza di non vedere bene, quanto più investe tempo e fatica per cercare di chiarire ciò che è oscuro, tanto più meriterà il soccorso della grazia, la quale lo aiuterà a passare dal buio alla luce, dalla confusione alla chiarezza, dall’errore alla verità. La sapienza grida per le strade… nei clamori della città essa chiama… io effonderò il mio spirito su di voi e vi manifesterò le mie parole (Pr 1, 20-23).

Un evento unico

La difficoltà a credere nella risurrezione, le incertezze, gli abbagli, lo sconforto di Maria Maddalena, di Pietro e di Giovanni, sono anche i nostri, infatti, si tratta di credere in un fatto unico nella storia, mai accaduto prima e che mai accadrà dopo: un uomo morto che, essendo anche Dio, da solo risorge. Nessun altra religione al mondo ha come fondamento un fatto simile. Il cristianesimo è unico proprio in questo, non si fonda su una dottrina, su una saggezza, su una legge morale, su un’ascesi che conduce a stati superiori di coscienza, queste cose ci sono, sono importanti, ma non sono fondanti, ciò su cui poggia tutto l’edificio è un fatto unico nella storia: un sepolcro che ha accolto un uomo morto, ora è vuoto; tutti possono andare a Gerusalemme a constatarlo. Due sole sono le alternative possibili: o qualcuno ha tolto il corpo dalla tomba e l’ha distrutto o lasciato naturalmente decomporre in altro luogo, oppure è vero ciò che dei testimoni oculari hanno annunziato al mondo intero: quel corpo apparteneva al Figlio di Dio e: Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere (At 2, 24). Se fosse vera la prima ipotesi, il cristianesimo non avrebbe potuto diffondersi nel mondo e giungere fino a noi, nessuno affronterebbe il martirio per un uomo morto, nessuno dice: “Per me vivere è Socrate, o Platone o Budda”, invece i cristiani dicono: Per me vivere è Cristo (Fil 1, 21). Da notare che questo annuncio si accorda bene con quanto precedentemente accennato, vale a dire con l’universale intuizione della sopravvivenza dell’uomo oltre la morte, la risurrezione di Gesù conferma la validità di questa intuizione e soccorre l’uomo nella sua impotenza, autorizzandolo a sperare nella risurrezione.

L’impressione che tutto sia finito

Intanto, Pietro e Giovanni se ne tornarono di nuovo a casa. Non pare che avessero l’animo molto confortato da quanto avevano visto, infatti, il vangelo non lascia intendere che se ne tornarono pieni di gioia per la speranza nella risurrezione, o almeno che avessero l’animo diviso fra la speranza nella risurrezione e il timore di una delusione. Sembrano piuttosto oppressi da un nuovo dolore, oltre a quello per la morte del Signore, anche quello per la sparizione del suo corpo. Se un nostro caro sparisse dalla camera mortuaria, in che stato ci troveremmo? Pietro e Giovanni avevano lasciato tutto per seguire Gesù, lo avevano amato, avevano creduto in lui, speravano fino alla fine di vederlo trionfare… invece, tutto era precipitato nell’orrore della crocifissione, e ora tutto sembra finito. Le tenebre, la cattiveria degli uomini e dei demoni sembrano aver vinto, Gesù che era la ragione della loro vita non c’è più, e non è una piccola sofferenza perdere una ragione di vita.

Lo stato di desolazione di Pietro, Giovanni e Maria di Màgdala, prima o poi, in varia misura, raggiunge ogni cristiano che ha incontrato veramente il Signore. Incontrare il Signore significa passare dalle tenebre alla luce, da una prospettiva di vita solamente terrena alla speranza di una vita eterna, dal mondo dell’egoismo al mondo dell’amore, da una vita senza significato all’esperienza gratificante di chi ha trovato veramente il senso della vita nel seguire chi ha detto di sé: Io sono la via, la verità e la vita (Gv 14, 6). Questo incontro alimenta giustamente la speranza di andare di successo in successo, di vittoria in vittoria: di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore (2Cor 3, 18), vale a dire dell’espandersi della vita divina, della luce e dell’amore: sia nella propria vita, sia nel mondo. C’è un tempo in cui si partecipa in qualche modo al successo di Gesù, e si è presi da una certa esaltazione perché i suoi miracoli impressionano, la sua bontà consola e risana, i suoi insegnamenti illuminano.

Ma il mondo delle Tenebre non sta a guardare e non tollera questo successo, scatena allora una contro offensiva di una forza e di un’efficacia impressionanti, per questo la sequenza del giorno di Pasqua canta: “Morte e Vita si sono affrontate in un prodigioso duello”; e chi segue il Signore è coinvolto in questo “prodigioso duello”, il quale ha un andamento sorprendente, la parte buona e giusta, che giustamente dovrebbe vincere, viene invece clamorosamente sconfitta, Gesù muore, è deposto in un sepolcro e chi va al sepolcro a cercare un po’ di consolazione, almeno dalla vicinanza con il suo corpo morto, lo trova vuoto. Cosa significa tutto ciò?… Non sono le forze umane o le parole: “Rallegrati, Cristo è risorto”, che ci faranno comprendere; ci vuole ben altro per riuscire a vedere come la vittoria di Dio passi proprio dalla Croce e dal sepolcro. Le sole parole, il più delle volte, rischiano di essere come il sepolcro vuoto, non riescono a consolare veramente.

Pietro e Giovanni non comprendono: non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti. I discepoli perciò se ne tornarono di nuovo a casa. Ma meriteranno di essere presto consolati e di comprendere, perché hanno accettato di passare per la desolazione estrema di chi perde tutto. In quei giorni i discepoli hanno perso ogni illusione sul loro coraggio, sulla loro fedeltà e sulla consistenza del loro amore per Gesù; ora che lo hanno perso hanno l’impressione che il cielo sia chiuso e si sentono, come Lui, abbandonati da Dio. La logica di Dio è ben strana, per poterci dare tutto ci chiede di perdere tutto, anche ciò che abbiamo ricevuto da lui. Il venerdì santo non è morto solo Gesù, ma è morto anche l’uomo vecchio nei suoi discepoli, lo conferma San Palo evidenziando una legge della vita cristiana: l’uomo vecchio che è in noi è stato crocifisso con lui (Rm 6, 6), la dolorosa morte dell’uomo vecchio è la condizione necessaria per l’inimmaginabile gloria della risurrezione.

Che la Santa Vergine ci ottenga di sperare contro ogni speranza quando sembrerà che tutto sia perduto.

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Consapevole che le meditazioni proposte non sono che incerti balbettii, faccio appello alla carità  del lettore perché vengano accolte con benevolenza. In fondo, davanti a Dio, siamo tutti dei bambini bisognosi di imparare a parlare l'unica lingua che si parli nel suo Regno, la lingua dell'amore.

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