Meditazioni sul Vangelo

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Med. br123

Dal timore alla gioia (Gv 20, 19-31)

 Dal timore alla gioia

Dopo i tragici eventi del Giovedì e Venerdì Santo, il sentimento che domina fra i discepoli è la paura; si ritrovano infatti insieme in un luogo chiuso per timore dei Giudei. Il loro stato d’animo è più che comprensibile e per nulla ingiustificato, i loro occhi avevano visto l’orrore del male scatenarsi e uccidere il loro Maestro, mai avrebbero creduto che gli uomini potessero giungere a tanta malvagità contro un innocente, eppure questo era successo e loro ne erano stati testimoni. Ma oltre alla malvagità dei malvagi, avevano anche dovuto constatare la codardia e la meschinità dei buoni; avevano dichiarato di essere pronti a morire per Gesù, ma poi lo avevano abbandonato nel momento in cui avrebbe avuto più bisogno della loro vicinanza, hanno aumentato così l’amarezza di un calice già tanto amaro. Inoltre, un ulteriore dolore affliggeva il loro animo ed era il timore di aver perso l’amicizia con Gesù e col Padre che lo aveva inviato: come potevano Gesù e il Padre esser contenti di loro dopo il poco onorevole comportamento di cui erano stati protagonisti?…

Una gioia insperata

Dopo quello che era successo la loro vita non poteva non essere bloccata, chiusa, senza plausibili prospettive, senza speranza. Umanamente non c’erano soluzioni e dal cielo non si sentivano autorizzati a sperare un gran che. Si ritrovavano anche loro, macerati dagli eventi, a bere l’amaro calice dell’incertezza, dell’angoscia, del fallimento, e sentivano che la loro desolazione e la loro miseria faceva un tutt’uno con la miseria del mondo. Ma la miseria umana quando prende coscienza di essere tale si trasforma in un tesoro prezioso, perché attira irresistibilmente la misericordia, come ci suggerisce il salmo: Un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi (Sal 50, 19).

Così, nel momento più profondo dello sconforto qualcosa di inatteso e di insperato accade. Gesù, nonostante le porte chiuse si fa presente, e, contrariamente ai loro timori, non li rimprovera, ma dona loro la pace. La sua presenza, le sue parole e il suo sguardo, fanno rifiorire la vita, e una gioia che non credevano più possibile invade i loro cuori. Non solo, proprio quanto avevano appena vissuto li aveva resi particolarmente adatti a continuare la missione del loro Maestro: Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi. Gesù era stato inviato dal Padre come rimedio alla miseria umana, ma anche loro potevano ormai comprendere ogni miseria e offrire agli uomini gli stessi doni ricevuti da Gesù; il quale aveva donato loro la pace, lo Spirito Santo e il potere di discernere quali peccati potevano essere perdonati e quali no. Disse loro Gesù: Pace a voi!... Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati saranno perdonati, a coloro a cui non li perdonerete, non saranno perdonati. Qui Gesù prevede chiaramente il caso in cui non può essere data l’assoluzione, ma oggi si pretende di essere più misericordiosi della Misericordia e si raccomanda di non negare l’assoluzione a nessuno, il che dovrebbe renderci vigilanti, perché insegnamenti in contrasto con le parole di Gesù sono molto pericolosi, chi ingenuamente li accoglie rischia, prima o poi, di tradire il Signore o di rimanere intossicato come chi beve acqua inquinata.

Quando anche noi abbiamo paura

Ciò che i discepoli hanno vissuto, tutti gli uomini, in misura maggiore o minore prima o poi vivranno, vale a dire il ritrovarsi spauriti e paralizzati perché il potere delle tenebre distrugge ogni speranza, ogni prospettiva di vita, ogni senso e gusto di vivere. Inoltre, molte volte l’oppressione delle tenebre è accompagnata dall’esperienza del cielo chiuso, dalla sensazione di essere abbandonati da Dio, dalla sensazione di aver rotto l’amicizia con lui, soprattutto quando, come i discepoli, ci rendiamo conto che in certe occasioni il nostro comportamento non è stato molto brillante, e allora, più che sperare una benedizione temiamo una punizione. In queste situazioni non c’è molto da fare, si patisce e basta, ma il motivo di speranza è che Gesù, nonostante i nostri timori, quando vuole e nei modi che vuole, può rendersi presente anche quando tutte le porte sono chiuse, e la parola che ha detto ai discepoli impauriti di allora può ancora farla risuonare nel cuore dei discepoli di oggi: Pace a voi! Come allora i discepoli gioirono al vedere il Signore, così anche oggi la sua presenza può ridare gioia a chi non ritiene più possibile la gioia.

Da notare che il motivo della pace e della gioia è strettamente legato alla persona di Gesù; molti oggi vorrebbero la pace e la gioia, senza riflettere che dipendono dall’adesione alla persona di Gesù; lo si prega perché crei le condizioni di una vita migliore, perché fermi le guerre e doni la pace al mondo, ma si è poco consapevoli che la gioia e la pace si allontanano sempre più dal mondo perché il mondo si allontana sempre più da Gesù. Gesù non può dare la pace senza dare sé stesso, per cui, o si ritorna a lui e lo si accoglie come Signore della propria vita e della storia, oppure il mondo precipiterà sempre più nel baratro dell’orrore. Purtroppo, la condizione miserevole del mondo sembra non bastare a destare dal torpore e ad aprire gli occhi degli uomini. Il potere della libertà e Il mistero dell’iniquità (2Ts 2, 7) sono tali che l’uomo può giungere a preferire l’inferno a Cristo! Ed è un grande mistero.

La mancanza di fede

Uno dei mali che a poco a poco può condurre al rifiuto definitivo di Cristo è la mancanza di fede, e la radice di questo male minacciava anche l’apostolo Tommaso, il quale, assente durante la prima apparizione di Gesù, non voleva credere ai suoi compagni che lo assicuravano di averlo visto vivo. La fiducia è un atteggiamento fondamentale in ogni rapporto d’amore, ma non è facilissimo scrutarne la natura, la profondità, le implicazioni. Tommaso non crede alla testimonianza degli altri discepoli, e noi siamo abbastanza tentati di giustificare il suo comportamento, e in certe occasioni lo imitiamo dicendo: “Io, se non vedo non credo”. La sua incredulità ha delle attenuanti, tuttavia il Signore dolcemente lo corregge: Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!… Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto! Queste parole rivelano anche la divinità di Gesù, il quale non era umanamente presente quando Tommaso ha manifestato il suo dubbio ed espresso le sue richieste, tuttavia, ora risponde con estrema precisione alle tre condizioni che Tommaso aveva posto per credere: vedere nelle sue mani il segno dei chiodi, mettere il dito nel segno dei chiodi, e infine mettere la mano nel suo fianco.

Una mancanza di fiducia offende sempre l’amore; i discepoli presenti alla prima apparizione di Gesù erano certissimi di averlo visto, e quando comunicano la loro certezza a Tommaso si aspettano giustamente di essere creduti, ma Tommaso non credendo li offende, perché implicitamente li ritiene menzogneri e non degni di fede, e li offende anche nel loro amore, in quanto i discepoli, per amore gli stavano comunicando la lieta notizia, ma lui, non credendo non ha accolto il loro amore; vediamo così che l’incredulità offende la verità e offende l’amore: la verità perché non ritiene vero quanto detto da persone degne di fede, e l’amore quando per amore è chiesta la nostra fiducia. Offendere la verità e l’amore è un orrore, e l’orrore sta in questo: Tommaso, che non ha visto Gesù, ritiene di avere più ragione o più certezza di quelli che lo hanno visto, ed è come se un cieco pretendesse di condurre chi ci vede bene - in questa stoltezza cadiamo spesso -. Da notare che i discepoli vedono in Tommaso la loro stessa stoltezza e incredulità, perché anche loro non hanno voluto credere né a Maria di Magdala quando era tornata dal sepolcro ad annunciare di aver visto Gesù vivo, né ai due discepoli di Emmaus che erano tornati a Gerusalemme a portare lo stesso annuncio, l’evangelista Marco dice: ma neanche a loro vollero credere (Mc 16, 13); queste esperienze servono a rendere umili i discepoli di allora e di oggi.

Il peccato di incredulità è pericoloso, perché con una certa ostinazione vuole ridurre la realtà solo a ciò che uno vede e comprende, ma la realtà è ben più ampia di ciò che gli uomini vedono e comprendono, non credere a chi è degno di fede è negarsi l’accesso a una realtà più bella e più ampia, e si offende anche l’amore di chi per amore ce la propone.

Fede e intelligenza

Un atto di fede è un atto di intelligenza che passa in mezzo a due scogli: quello della credulità e quello della critica eccessiva. Il cardinale Giacomo Biffi sintetizza bene l’atteggiamento giusto: “Occore all'inizio pensare per compiere ragionevolmente l'atto di fede, ma bisognerà anche credere per continuare a pensare ragionevolmente”. Nel libro del Siracide troviamo: Chi si fida con troppa facilità è di animo leggero (Sir 19, 4), non è quindi bene essere dei creduloni che non fanno un minimo di verifica, sia su ciò che ci è chiesto di credere, sia sulla serietà e sull’onestà di chi vuole la nostra fiducia, ma bisogna anche evitare l’estremo opposto di chi è iper critico pur di non ammettere ciò che non vuole credere. La verifica principale riguarda la credibilità di chi vuole la nostra fiducia; Tommaso sapeva che i suoi compagni erano persone umili e oneste, che difficilmente avrebbero diffuso menzogne, eppure non li ha creduti. Nonostante questo difetto, il Signore gli usa misericordia e lo porta a fare l’atto di fede che sarà quello di tutti i credenti dopo di lui, i quali dovranno dire a Gesù: Mio Signore e mio Dio! Così, anche di Tommaso si può dire che vide e credette (Gv 20, 8), ha visto Gesù risorto e ha creduto che era Dio.

L’atto di fede è meritorio, perché bisogna accettare di mettere al primo posto una verità detta da altri, e questo richiede umiltà, l’umiltà di chi rinuncia a fare del proprio io la misura di tutte le cose; nell’atto di fede si preferisce l’altro a sé stesso, ed è la condizione fondamentale per muoversi correttamente nel Regno dell’Amore, in cui ognuno dice all’altro: “Sei tu che conti, non io”. E l’atto di fede è tanto più meritorio quanto più grande o più costosa è la rinuncia al proprio io, quanto più dobbiamo accettare ciò che supera le nostre capacità di comprensione. Un esempio di quanto sia brutta e meschina una persona incredula è quando, avendo in qualche campo delle solide conoscenze, proponiamo a qualcuno delle indicazioni o consigli per aiutarlo a crescere, ma questa persona è riluttante, ha paura, non si abbandona e non si fida, allora siamo offesi e dispiaciuti, perché col suo atteggiamento dimostra di non stimarci e di non avere fiducia in noi, inoltre, non accogliendo i suggerimenti rimane colpevolmente povera e non cresce, è il peccato di chi riceve un talento e non lo fa fruttare. Per questo Gesù dice: Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!... perché essendo docili e umili hanno accolto delle verità che hanno aperto loro la via verso realtà più belle e più grandi.

La Santa Vergine faccia di noi dei credenti intelligenti.

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Meditazioni  Info
  • Ultimo aggiornamento 09-01-2024

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  • Gli invitati al banchetto di nozze - 2

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  • Gli invitati al banchetto di nozze - 1

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    Non ho nulla da offrirgli - Un singolare amico - Non conosciamo noi stessi - Fatti per un altro mondo ...

  • La parabola degli operai nella vigna (Mt 20, 1-16)

    Difficoltà  di comprendere un comportamento ingiusto - Ingiustizia che torna a nostro favore - Chi consola questa parabola.

Consapevole che le meditazioni proposte non sono che incerti balbettii, faccio appello alla carità  del lettore perché vengano accolte con benevolenza. In fondo, davanti a Dio, siamo tutti dei bambini bisognosi di imparare a parlare l'unica lingua che si parli nel suo Regno, la lingua dell'amore.

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