Meditazioni sul Vangelo

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Med. br93

Una strana parabola (Lc 16, 1-13)

Padre Molinié inizia il suo libro “Il coraggio di aver paura” dicendo: “È impossibile che Dio non ci sconcerti sempre più fino al giorno della visione faccia a faccia”. La parabola dell’amministratore disonesto, che è lodato per la sua astuzia, è uno dei tanti casi in cui Gesù ci sconcerta, perché escono dalla sua bocca parole che non ci aspetteremmo. La strana parabola ha questo andamento: un amministratore è chiamato a rendere conto del suo operato. Accertata la disonestà nell’amministrazione il padrone lo licenzia, e così la sua situazione economica diventa improvvisamente drammatica; come riuscirà a cavarsela uno abituato a frodare piuttosto che a lavorare? Se la caverà continuando a frodare, infatti, diminuisce il debito dei creditori del padrone sperando nel loro soccorso dopo il licenziamento. Le parole sconcertanti di Gesù sono: Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza.

Ciò che dà fastidio e apparentemente non torna è soprattutto l’espressione: lodò quell’amministratore disonesto. Il Signore ci invita però a non essere superficiali, a non fermarci alla prima impressione, ma ad approfondire, a fare un po’ di fatica per comprendere e a non essere grossolani nel pensiero. Riusciranno tuttavia a capire solo coloro che accettano il tormento di non capire, invece, non capiranno nulla coloro a cui le parole del Signore non suscitano né interrogativi, né perplessità, né sconcerto. Troppe sue parole percuotono inutilmente le nostre orecchie e rimangono lettera morta, e così rimaniamo morti anche noi, perché solo le sue parole sono spirito e vita (Gv 6, 63). Lo stato di desolazione in cui si trovano la Chiesa e il mondo grida, a quanti hanno orecchie per intendere, che gli uomini non stanno ascoltando le parole di Gesù.

Ora, per cercare di comprendere dobbiamo distinguere l’astuzia dalla disonestà; la disonestà è chiaro che non può essere lodata e Gesù non la loda, tanto è vero che l’amministratore viene licenziato. L’astuzia, invece, in sé è un bene e può essere lodata, come sono un bene e possono essere lodati l’intelligenza, il coraggio, la fortezza, la costanza; ma queste qualità, pur essendo dei beni in sé, non sono sufficienti a dire se le azioni che generano sono buone o cattive; gli atti umani infatti, sono buoni solo se soddisfano alcune condizioni, una di queste è il fine a cui tendono; così un’azione astuta, se ha un fine buono, è buona, ma se ha un fine cattivo è cattiva, pur rimanendo l’astuzia un bene in sé. Quindi, Gesù loda l’astuzia come bene in sé, ma condanna il fine per cui è utilizzata, in quanto l’amministratore, pur avendo agito scaltramente, non viene riassunto. Il fine dell’amministratore è doppiamente cattivo perché: da un lato froda ancora una volta il padrone diminuendo i crediti che gli sono dovuti, dall’altro cerca di ottenere dei benefici personali con mezzi disonesti.

Ma l’aspetto sconcertante dell’insegnamento di Gesù non finisce qui, infatti, sembra che lui suggerisca come esempio da imitare proprio il comportamento dell’amministratore disonesto: I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne. Queste parole sono un chiaro rimprovero per i figli della luce, e ci fanno capire che Gesù si aspetterebbe dai suoi discepoli la stessa scaltrezza dei figli di questo mondo, ma utilizzata per ottenere l’amicizia dei santi. Inoltre, Gesù praticamente dice: “Così come l’amministratore disonesto si è comportato per avere degli amici che lo avrebbero aiutato dopo il licenziamento, così comportatevi anche voi con i beni di questo mondo, in modo da avere degli amici che vi accolgano in Cielo quando verrà a mancare il tempo a voi concesso su questa terra; allora, nell’ora del vostro giudizio, vi conviene avere degli amici che parlino bene di voi”.

Il cardinale Giacomo Biffi così commenta: “Tutti noi siamo di fronte a Dio nella condizione dell’amministratore infedele. Anche noi abbiamo prevaricato; abbiamo abusato della fiducia del Creatore, che ci ha regalato la vita perché ne usassimo per la giustizia; siamo nei suoi confronti oberati di debiti spaventosi; il nostro stato è fallimentare. Ogni giorno che passa si avvicina il momento del rendiconto, quando tutte le nostre menzogne saranno scoperte e noi saremo nella situazione imbarazzante di non saper rispondere alle contestazioni precise e incontrovertibili del nostro Padrone”. Ora, per coloro che accettano di riconoscere che, parlando dell’amministratore disonesto, Gesù parla di noi, la parabola assume improvvisamente un carattere consolante; ma bisogna accettare il dolore e la vergogna di chi si scopre immensamente debitore nei confronti dell’amore di Dio; perché Lui ci ama e noi non lo amiamo, lui perdona e noi non perdoniamo, lui è buono e noi siamo cattivi, lui ci vuole donare i beni del Cielo e noi ci ostiniamo a cercare i beni della terra, lui ci ha donato la vita, l’intelligenza, il tempo e innumerevoli altri beni e noi siamo ingrati e li usiamo male… Non a caso Giacomo Biffi parla di “stato fallimentare”; ma poi prosegue: “Ebbene, Gesù ci dice che c’è un modo per salvarci dalla prevedibile condanna e dalla catastrofe; ed è quello di essere generosi verso il nostro prossimo del nostro perdono, del nostro tempo, del nostro interessamento, del nostro denaro” (Omelie anno C, Ediz. ESD). È questo il senso delle parole: Fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.

L’espressione ricchezza disonesta potrebbe sembrare un po’ strana, in realtà è molto appropriata, infatti, la ricchezza si comporta proprio come le persone disoneste che promettono, ma non mantengono; la ricchezza promette benessere, felicità, amori, amici, sicurezza, emozioni... ma prima o poi si smentisce e non dona la felicità promessa. Allora il Signore ci dice che non è dalla ricchezza che dobbiamo sperare la felicità; la felicità la potremo raggiungere in pienezza solo nelle dimore eterne. La ricchezza non va perciò utilizzata per accrescere i beni e gli amici della terra, ma per acquistare i beni e gli amici del Cielo. I nostri piccoli atti di carità, soprattutto se nascosti, ci procurano l'amicizia di quanti in Cielo non vivono che di reciproco amore, perché loro vedono, apprezzano e si rallegrano per ogni atto buono da noi compiuto; la somma di questi piccoli atti, con l’aiuto degli amici del Cielo, contribuirà a salvarci dal “nostro stato fallimentare” nel giorno del rendiconto. Per questo è importante non trascurare le piccole cose che sono alla portata delle nostre deboli forze perché: Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti.

Queste parole sono l’astuzia che il Signore ci suggerisce per poterci salvare, ossia, fare bene, ed essere fedeli nel fare bene, i piccoli doveri del nostro stato, i piccoli atti virtuosi e di bontà di cui nessuno si accorge; questi sono particolarmente preziosi perché non sono premiati dall’ammirazione degli uomini; i piccoli atti sono ricercati dalle persone umili che hanno fede, speranza e carità: fede, perché bisogna credere che Dio li vede; carità, perché si fanno per amore di Dio e del prossimo, speranza, perché si è certi che Dio pagherà l’amore con l’Amore. Alcuni esempi di piccoli atti alla nostra portata sono: impegnarsi a rispettare gli orari, fare bene un dovere che non abbiamo voglia di fare, mantenere la parola data, mortificare la gola, gli sguardi, l’abbigliamento; fare un servizio, un gesto buono, un sorriso o esercitare la pazienza verso le persone moleste; mortificare le parole vane ricordando il severo monito di Gesù: Di ogni parola vana che gli uomini diranno, dovranno rendere conto nel giorno del giudizio (Mt 12, 36)... Purtroppo, non siamo molto astuti, ignoriamo troppe parole del Signore, e quelle che non ignoriamo non le meditiamo, di conseguenza non producono frutti di opere buone, allora, come le erbacce in un giardino incolto, prolificano le opere cattive e ci ritroviamo a soffrire i mali di cui tutti ci lamentiamo.

Gesù dice ancora: Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? Quindi, qualsiasi cosa possiamo ottenere con la ricchezza non è veramente nostra, non è il nostro vero bene; il modo in cui utilizziamo i beni provvisori di cui disponiamo verifica la nostra giustizia e rettitudine; se la verifica avrà un esito positivo allora Dio ci darà il vero bene e la nostra vera ricchezza, ossia, sé stesso.

Che la Santa Vergine ci aiuti a non trascurare le parole di suo Figlio.

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  • Ultimo aggiornamento 09-01-2024

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    Le Christ juge le mauvais riche - Un cas d’impénitence finale - Examen des sentiments du riche - La pensée de Sainte Catherine de Sienne - La parabole dans l'œuvre de Maria Valtorta - Plus qu’un mort qui ressuscite...

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  • Gli invitati al banchetto di nozze - 2

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  • La parabola degli operai nella vigna (Mt 20, 1-16)

    Difficoltà  di comprendere un comportamento ingiusto - Ingiustizia che torna a nostro favore - Chi consola questa parabola.

Consapevole che le meditazioni proposte non sono che incerti balbettii, faccio appello alla carità  del lettore perché vengano accolte con benevolenza. In fondo, davanti a Dio, siamo tutti dei bambini bisognosi di imparare a parlare l'unica lingua che si parli nel suo Regno, la lingua dell'amore.

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