Meditazioni sul Vangelo

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A Cafarnao (Mt 4, 12-23)

 Cafarnao

Giovanni Battista sta giungendo al termine della sua missione, i potenti, che non sopportano le sue parole di fuoco lo hanno imprigionato e, poco dopo, lo metteranno a morte. Giovanni aveva detto di Gesù: Lui deve crescere e io diminuire (Gv 3, 30), è quanto sta avvenendo; dopo il battesimo nel Giordano e dopo le tentazioni nel deserto, che erano un po’ le premesse della vita pubblica, Gesù inizia a operare sempre più apertamente. Matteo in questo brano ripropone, ampliandolo, sempre lo stesso motivo: “Gesù scende nelle profondità della terra per salvare gli uomini che giacciono nelle tenebre e nell’ombra di morte”. Come era sceso da Nazaret al Giordano per farsi battezzare da Giovanni, ora scende da Nazaret a Cafarnao, perché gli uomini, nella loro caduta, sono andati a finire sotto il livello del mare; anche questa volta compie un percorso che va, dai circa 400 metri sul livello del mare di Nazaret, ai meno 200 di Cafarnao.

Gesù, compimento delle profezie

Una caratteristica del vangelo di Matteo è mostrare come le opere di Gesù siano il compimento delle antiche profezie, qui applica a Gesù quella di Isaia che dice: Terra di Zàbulon e terra di Nèftali sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti! Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta. Gesù è la grande luce scesa dal cielo per illuminare gli uomini che giacciono nelle tenebre, inoltre, questa luce non è solo per il popolo ebraico, ma per tutti i popoli, è quanto suggerisce proprio il luogo scelto da Gesù per iniziare la sua missione: Cafarnao è una città della Galilea, e la Galilea è chiamata dal profeta Galilea delle genti, perché è una terra di frontiera, dove vivono e transitano persone di diversa razza, cultura e religione.

Il fatto che in Gesù si compiano le profezie, significa inoltre che la vicenda umana non è un susseguirsi senza senso di generazioni, ma è una storia governata da un disegno ben preciso; prima di tutto la Trinità ha pensato e voluto creare secondo un certo disegno, questo disegno ha al centro Gesù salvatore, ma, come autorevolmente insegna il cardinale Giacomo Biffi, Gesù salvatore presuppone delle creature da salvare, quindi, fin dall’inizio è stata prevista la prova, la caduta dell’uomo e il rimedio a questa caduta. Il peccato dei progenitori non ha colto Dio di sorpresa costringendolo a inventare un rimedio appropriato, ma fin dall’inizio era prevista la caduta, le sue dolorose conseguenze e la grande luce di Gesù che avrebbe rimediato a queste conseguenze. Dio poteva creare scegliendo altri progetti, fra i tanti possibili ha scelto quello in cui c’era l’Agnello, immolato fin dalla fondazione del mondo (Ap 13, 8), e, nell’Agnello immolato, ha voluto ricapitolare tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra. In lui siamo stati fatti anche eredi, essendo stati predestinati secondo il piano di colui che tutto opera efficacemente conforme alla sua volontà (Ef 1, 10-11).

La proposta del Regno

Le prime parole che Gesù proclama per squarciare le tenebre sono: Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino. Riprendendo esattamente le parole di Giovanni Battista nel deserto, è come se Gesù ricevesse da lui il testimone per continuare e portare a termine l’opera della salvezza. Gesù viene a riproporre il Regno di Dio a uomini che sono immersi nel Regno delle Tenebre, l’impresa non sarà né semplice, né facile, perché il Re delle tenebre non cederà facilmente i suoi diritti sui sudditi: tutto il mondo giace sotto il potere del maligno (1Gv 5, 19); questo dà origine a una guerra fra due Re: il Re divino e il Re infernale, che si affronteranno sul campo di battaglia del nostro cuore. Nessuno di noi è dispensato dalla scelta di campo, nella vita presente dobbiamo schierarci sotto le insegne del Re divino oppure sotto quelle del suo avversario; noi siamo nella valle della decisione (Gl 4, 14), prima o poi dovremo scegliere e la nostra scelta dovrà essere irrevocabile. Anche San Paolo ricorda che: La nostra battaglia non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti (Ef 6, 12). Tale prospettiva non gode di molto favore nella predicazione e negli insegnamenti di chi ha il compito di predicare e insegnare, ne vediamo però i risultati. Forse mai come ai nostri giorni le potenze infernali riescono a ingannare e umiliare i cristiani a tutti i livelli, proprio per mancanza di consapevolezza sullo scontro in atto; il volto della Chiesa è sfigurato da divisioni, inimicizie, scandali, persecuzioni, confusione, pastori che non solo fuggono davanti ai lupi, ma si alleano con i lupi, così, invece di essere luce del mondo la Chiesa sembra diventata un lucignolo fumigante e insignificante; i barbari dominano ovunque senza incontrare significative opposizioni.

Anche nel vangelo di Luca una breve parabola allude a questa battaglia e suggerisce l’aiuto per schierarsi dalla parte giusta: Quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace (Lc 14, 31-32). Da notare che Gesù dà per scontato l’evento di una guerra imminente. Questa guerra ci riguarda, perché ognuno di noi è re, infatti, governiamo la nostra vita come vogliamo come un re governa i suoi territori, ma ai confini c’è un altro re, il Re divino che viene a proporre l’annessione del nostro regno al suo, se rifiutiamo ci ritroveremo inevitabilmente alleati con il Re infernale, il quale vuole anche lui annettersi i nostri territori; se sbagliamo alleanza ci ritroveremo a combattere con diecimila uomini contro un Re che ne ha ventimila, e la nostra sconfitta sarà certa.

La chiamata

Matteo prosegue il racconto mostrandoci Gesù che, camminando lungo il mare di Galilea, vede due fratelli intenti a svolgere il loro lavoro e li chiama: Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini. Proseguendo il cammino vede altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e chiama anche loro; i fratelli lasciano tutto e lo seguono. Probabilmente non è senza ragione che i primi quattro chiamati siano fratelli, compaesani e dello stesso mestiere; possiamo vedervi la saggezza e la benevolenza del Signore che ha voluto, e vuole, dare il conforto di un aiuto reciproco a chi lo segue nella grande impresa della propria trasformazione e della trasformazione del mondo. Nei fratelli, nei compaesani e in chi svolge un medesimo lavoro, normalmente, c’è già una naturale solidarietà, simpatia, stima, rispetto, attitudine all’aiuto reciproco... tutte qualità che si riveleranno molto utili lungo il cammino di conversione, nella futura missione e nelle inevitabili persecuzioni. Se poi consideriamo che nel collegio dei dodici apostoli sei saranno fratelli naturali: Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni, Giuda Taddeo e Giacomo, possiamo dedurre che Gesù, per vincere le tenebre della discordia, vuole una comunità di fratelli: Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri (Gv 13, 35).

La risposta

Una reazione singolare accomuna l’incontro dei quattro fratelli con Gesù: essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono. Com’è possibile lasciare immediatamente il lavoro e gli affetti familiari più forti per seguire un uomo? Sappiamo poi che seguire Gesù non è stata per loro l’infatuazione di un momento, ma si è trattato di una scelta definitiva; veramente hanno lasciato la barca, la pesca, il lago, il padre, la madre, la moglie... per seguire Gesù. Due fattori determinano questo comportamento: da un lato, Gesù non è soltanto un uomo, la sua persona, il suo volto, il suo sguardo, i suoi gesti, le sue parole, trasmettono qualche cosa che non è di questo mondo; dall’altro lato, chi lo incontra sente che nella sua persona c’è qualcosa che sorprendentemente risponde alle esigenze e alle attese più profonde del cuore umano. Lo hanno seguito perché hanno percepito che in lui c’era qualcosa di più prezioso della barca, del lavoro, di ogni naturale e legittimo affetto. Solo la grande Luce profetizzata da Isaia poteva avere questo potere, il potere di dissipare ogni tenebra e di attirare a sé ogni cuore.

Nel vangelo di Giovanni l’incontro dei fratelli con Gesù è più articolato, ci sono diverse fasi; possiamo allora dedurre che Matteo abbia sintetizzato ciò che Giovanni ha esposto in modo più dettagliato; ad esempio, Giovanni racconta che Andrea Incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)» e lo condusse da Gesù (Gv 1, 41-42). Dicendo: Abbiamo trovato, Andrea evidenzia una condizione fondamentale per poter incontrare Gesù, vale a dire l’attività della “ricerca”, perché non trovano se non coloro che cercano. Ma che cosa cercavano Pietro e Andrea, Giovanni e suo fratello? Cercavano di capire se il tempo del Messia annunciato dai profeti era venuto; in effetti, le profezie indicavano che il tempo era vicino, c’era quindi nel loro cuore un’attesa, un desiderio, che li rendeva vigili, attenti alle voci e agli eventi; Giovanni Battista poi, con la sua vita e la sua predicazione, contribuiva molto ad alimentare la speranza di poter incontrare il Messia. Ma chi era questo Messia? Qualcuno simile a Mosè, destinato liberare l’uomo da ogni schiavitù e oppressione, per condurlo verso la prosperità della Terra Promessa: Il Signore disse [a Mosè]: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele (Es 3, 7-8). Mosè era la figura di Gesù, il quale è sceso dal Cielo per liberare l’uomo dalla schiavitù in cui lo tiene il Faraone infernale, Gesù è venuto per distruggere le opere del diavolo (1Gv 3, 8).

Colui di cui abbiamo bisogno perché la vita abbia un senso

Ora, il desiderio e l’attesa di un Messia è nel profondo del cuore di ogni uomo, perché tutti, che lo sappiamo o non lo sappiamo, che lo vogliamo ammettere o non lo vogliamo ammettere, abbiamo bisogno di un Salvatore che ci liberi e ci salvi dalla miseria in cui siamo caduti, dalle sofferenze che ci affliggono, dalle vessazioni e dalle ingiustizie con cui i Faraoni dei nostri giorni ci tormentano, dalle tenebre del nostro peccato, e da quelle che opprimono la nostra mente con angosce e incubi, dal non senso della vita, dalla paura della morte. L’uomo si ritrova sempre più o meno lacerato, fra lo splendore della vita e l’orrore della vita, a volte è sollevato in alto e a volte precipita negli abissi. Quando Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni, hanno incontrato Gesù, hanno sentito di aver trovato Colui che è la risposta a tutte le attese dell’uomo. Da allora in poi, per tutti i secoli, e fino alla fine dei secoli, gli uomini che cercano potranno incontrare lo sguardo di Colui che solo è la causa, il modello e il fine di tutto ciò che esiste, perché una grande luce è sorta per quelli che abitano in regione e ombra di morte.

Gesù dice ai fratelli: Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini. Il momento decisivo della loro salvezza ha avuto inizio in quel momento, ma non si compie in un momento, ci vorrà del tempo, quello che viene loro chiesto è di seguire Gesù, perché Lui solo sa come operare sul loro cuore per poterlo guarire, per poterlo convertire; e così è per noi. Ma in che cosa consiste la conversione? È come per i pesci quando vengono pescati: c'è un passaggio, dall'immersione nell'acqua all'immersione nell'aria, che comporta una morte e una risurrezione, il pesce muore, ma cambia natura diventando umo quando è mangiato dall’uomo; analogamente, la conversione è il passaggio da un'immersione del nostro interesse nelle cose del mondo, a una crescita progressiva del nostro interesse per le cose del Cielo, la conversione comporta un morire al mondo per risorgere mediante una trasfusione di vita divina che ci fa figli di Dio.

Che la Santa Vergine accenda in noi il desiderio di incontrare suo Figlio.

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Consapevole che le meditazioni proposte non sono che incerti balbettii, faccio appello alla carità  del lettore perché vengano accolte con benevolenza. In fondo, davanti a Dio, siamo tutti dei bambini bisognosi di imparare a parlare l'unica lingua che si parli nel suo Regno, la lingua dell'amore.

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