Meditazioni sul Vangelo

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Med. lebbroso1

LA GUARIGIONE DI UN LEBBROSO - PRIMA PARTE

Mc 1, 40-45

In questa guarigione di un lebbroso raccontata dall'evangelista Marco potremmo vedere le condizioni per venire infallibilmente guariti da Gesù. Esse sono:

- la consapevolezza della gravità della propria malattia (il lebbroso era dolorosamente consapevole di essere tale);

- il desiderio della guarigione;

- la consapevolezza che Dio solo potrà veramente guarirci;

- andare da Gesù;

- supplicarlo in ginocchio;

- attendere con fiducia di sentire il suo tocco e la sua parola di salvezza.

Osservazioni

Dopo il tocco e la parola di Gesù la guarigione del lebbroso è immediata. Ciò che non è immediato, ma carico di lunghe e amare tribolazioni, è la caduta nella malattia, la presa di coscienza della sua gravità, l'inutile lotta per cercare di venirne fuori, l'esperienza dell'esclusione sociale, della solitudine, dell'impotenza; la tentazione della disperazione e del suicidio.

In questo buio profondo e angosciante è tuttavia possibile constatare la presenza di un'aspirazione, di un grido, di un gemito inesprimibile verso una guarigione e una salvezza. Si sente che la condizione disastrata in cui ci si trova non è normale, si sente che siamo fatti per la vita e per la gioia, non per la morte. È in questa situazione che l'orecchio si fa attento e sensibile alle voci di coloro che raccontano di uno che ha il potere di guarire e di risolvere anche i casi più disperati. Si cerca allora di sapere se le voci e i fatti uditi sono veramente affidabili, poiché di ciarlatani e di venditori di fumo è pieno il mondo, e mettersi nelle loro mani servirebbe solo a peggiorare la situazione.

Una volta verificate e approfondite, per quanto possibile, queste notizie, può sorgere la decisione di andare a chiedere la propria guarigione, e allora ci si mette in cammino. Lungo il cammino per incontrare personalmente il Salvatore ci potranno ancora essere degli alti e bassi, tentazioni e scoraggiamento, perché, nonostante le assicurazioni, non si è ancora incontrato il Salvatore; tuttavia, se si persevera, prima o poi il Salvatore si farà trovare e allora dalla sua parola e dal suo tocco seguirà immediata la guarigione.

Cosa c’entra questa storia con la nostra

Che cosa c’entra la storia di questo lebbroso con la nostra vita quotidiana? Io non sono mica lebbroso, non sono escluso dalla società, non vivo ai margini come un mendicante, non sono deforme, puzzolente e ripugnante. E allora, evidentemente, questa pagina di vangelo non è per me.

Per rispondere a questo interrogativo bisogna considerare che c'è una malattia grave o lebbra del corpo e c'è una malattia grave o lebbra dell'anima. L'inizio della lebbra si ha quando certe parti del corpo, apparentemente sane, diventano insensibili al caldo e al freddo, ai graffi, al dolore. A questa insensibilità segue a poco a poco la corruzione e la putrefazione della carne e delle ossa. Allo stesso modo, anche la nostra anima, pur apparendo vitale e in salute, può essere affetta da svariate insensibilità che a poco a poco la corrompono rendendola deforme e ripugnante fino a escluderla dalla società dei viventi.

Proviamo tuttavia a considerare il caso di una persona perfettamente inserita nel contesto sociale, viva e attiva, il cui comportamento rivela anche una certa bontà, onestà, correttezza. Ancora una volta ci chiediamo: perché la storia del lebbroso dovrebbe riguardare questa persona? Per rispondere bisogna considerare che le migliori qualità o disposizioni morali non sono un qualche cosa di statico, ma sono inevitabilmente destinate ad evolversi; a crescere o a diminuire, a consolidarsi o a indebolirsi, a perfezionarsi nel bene o a corrompersi nel male. L'esito finale di questa evoluzione sarà la santità o un'irrimediabile perversione che comporterà l'esclusione dalla società dei beati.

Come il tocco e la parola del Signore hanno guarito immediatamente il lebbroso, allo stesso modo è sempre mediante l'ascolto della sua parola e la fruizione dei suoi sacramenti che noi veniamo immediatamente preservati dal cadere in svariate malattie dell'anima che ci renderebbero a poco a poco orribili e ripugnanti come il lebbroso, escludendoci dalla società dei credenti e dei viventi.

Questo vale per una persona viva e attiva, credente. Ma cosa dire di una persona viva e attiva, non credente? Bisogna dire che questa ha un'insensibilità diffusa in tutto il suo essere per le cose di Dio, per il suo progetto e per il suo amore. Questa insensibilità, a lungo andare, può dare origine alle più orribili e ripugnanti piaghe spirituali.

Che le cose siano in questi termini è perfettamente chiaro nella mente di Dio, ma non lo è altrettanto nella nostra, anzi, il mondo è pieno di lebbrosi che non sanno di essere tali e vivono giulivi e spensierati senza accorgersi di essere sfigurati e ripugnanti come la morte.

Riassumendo, potremmo dire che la storia del lebbroso ci riguarda tutti in uno dei seguenti casi: 1) - Essa è l'immagine di ciò che siamo spiritualmente se non siamo ancora stati guariti da Gesù. 2) - È l'immagine di ciò che spiritualmente diventiamo se ci allontaniamo dal tocco e dalla parola di Gesù. 3) - In fondo, il lebbroso è andato da Gesù e l'ha supplicato per sfuggire alla morte, ma anche per noi arriveranno giorni in cui la malattia ci condurrà alle soglie della morte; allora questa storia ci dice che, se sapremo supplicare Gesù, anche se dovremo passare attraverso la morte, sfoceremo finalmente nella vera vita (ogni guarigione operata da Gesù tende a farci apprendere il mistero pasquale). 4) - La storia del lebbroso mostra ciò che succede quando una persona ammalata e disastrata va da Gesù e umilmente invoca il suo soccorso, ma ci mostra anche cosa sarebbe successo se il lebbroso non fosse andato da Gesù; in questo caso sarebbe stato sconfitto dal suo male, sarebbe morto fra i tormenti ed escluso dalla società; ma questo è anche l'esito della vita di coloro che non vogliono venire da Gesù per essere salvati.

Alcune nostre insensibilità

Abbiamo osservato prima come all'inizio della malattia della lebbra ci sia in alcune parti del corpo un'insensibilità al dolore. Potremmo allora tentare di riflettere su alcuni tipi di insensibilità spirituali che possono col tempo rendere l'anima deforme e orribile come un lebbroso. Proviamo a considerare le nostre insensibilità rispetto alla Verità, rispetto al Bene, rispetto al Bello.

L'insensibilità rispetto alla Verità

L'insensibilità nei confronti della verità inizia fin da piccoli e, se viene trascurata, produrrà nei singoli e nella società enormi disastri materiali e spirituali. È tipico dei bambini mentire per fare i propri comodi. Così dicono di avere mal di pancia o mal di testa per non andare a scuola o al catechismo. Quando perdono al gioco vorrebbero a tutti i costi cambiarne le regole perché non riescono ad accettare la sconfitta. Chi è stato a rovesciare il vaso? È stato mio fratello. Quando combinano guai non vogliono ammettere la loro responsabilità perché giustamente seguirebbero riprovazione e castigo. Il grande guaio è quando i genitori e gli educatori trascurano o minimizzano questa tendenza a mentire e di conseguenza non mettono tutta la vigilanza e l'impegno dovuti per correggerla. Non si rendono conto che, se uno mente da piccolo, mentirà anche da grande, se uno mente nelle piccole cose, mentirà anche nelle cose di maggiore importanza. La parola del Signore è chiarissima a questo riguardo: Chi è fedele nel poco è fedele anche nel molto, chi è disonesto nel poco è disonesto anche nel molto (Lc 16, 10).

Non combattere la menzogna fin da piccoli e fin nelle più piccole cose ha come conseguenza il proliferare delle piaghe della corruzione, delle simulazioni, delle ipocrisie, della diffidenza, della sfiducia reciproca, perché non si è più sicuri della solidità e dell’affidabilità di quanto ci viene detto. Il sì può diventare un no e un no un sì, a seconda delle circostanze o delle convenienze. La tendenza a mentire e a manipolare i dati della realtà è una delle cause del diffondersi della peste del relativismo. Il relativismo è un po' come i bambini che quando perdono vogliono cambiare le regole del gioco, così gli adulti, per fare meglio i propri comodi, non vogliono accettare le regole della vita, ma sostituiscono ai dati oggettivi della realtà, regole e interpretazioni dei fatti di loro invenzione. Da queste piaghe orribili e ripugnanti solo il Signore ci può guarire.

Possiamo ancora osservare che la menzogna nasce da due tipi di necessità: quella di sfuggire alle conseguenze spiacevoli di un guaio che si è combinato o in cui ci si trova, oppure la necessità di soddisfare un qualche bisogno, di acquisire un qualche bene. Il bambino dice che non ha compiti da fare per andare a giocare e l'adulto si finge malato per non andare a lavorare, oppure finge di sapere cose in cui in realtà è poco competente per essere maggiormente stimato e considerato. In fondo, mentiamo perché non vogliamo ammettere i nostri errori e le nostre povertà, oppure per cercare di soddisfare attraverso scorciatoie disoneste la nostra fame e sete di felicità.

Conviene ancora considerare che durante il corso della vita sono attive due forze gravitazionali che tendono ad attirarci ognuna dalla sua parte. Le azioni o gli influssi di queste due forze fanno capo a Dio o al demonio. Gesù dice del demonio che è omicida, menzognero e padre della menzogna (Gv 8, 44). Non combattere la menzogna sotto qualsiasi forma si presenti, nelle piccole e nelle grandi cose, comporta quindi la nostra deriva verso una mentalità o uno spirito demoniaco e, conseguentemente, l'allontanamento dalla mentalità o dallo Spirito di Dio che invece è Spirito di Verità (Gv 14, 17).

Abbiamo fin qui considerato la menzogna come offesa manifesta della Verità, ma vi è un'offesa della verità meno manifesta ma altrettanto grave ed è l'indifferenza nei suoi confronti. La vita ci pone degli interrogativi impegnativi a cui non è facile rispondere: io esisto, prima non esistevo, un giorno morirò; desidero essere felice ma, per quanti sforzi faccia, non riesco a raggiungere la felicità; vorrei un mondo più giusto più bello e più buono, invece, quante ingiustizie brutture e cattiverie scopro intorno a me e in me!... Allora, che senso ha tutto questo? Evidentemente la risposta a queste domande non è immediata, richiede un certo impegno, onestà intellettuale, desiderio di conoscere la verità. Purtroppo, molti trovano più comodo non complicarsi troppo la vita, non porsi troppe domande per non farsi venire il mal di testa o l'esaurimento; la ricerca della verità ha tutta l'aria di essere troppo faticosa e impegnativa, molto meglio vivere alla giornata, cercare di godere tutto quello che si può e fin che si può, poi, si vedrà. D'altronde così fan tutti. Il Signore potrebbe rispondere che larga e affollata è la via che conduce alla perdizione (Mt 7, 13) e che è certamente più comodo e veloce costruire la propria casa sulla sabbia, ma ci sarà inevitabilmente una tempesta che manderà in frantumi quanto è costruito sulla sabbia, solo ciò che sarà costruito sulla roccia reggerà (Mt 7, 24). Cercare o non cercare la verità sulle grandi domande che la vita ci pone non è indifferente, è una questione di vita o di morte.

L'insensibilità rispetto al Bene

Proviamo a considerare adesso le nostre insensibilità nei confronti del bene. Penso che esse derivino dalla non controllata tendenza a regolare la vita secondo le nostre convenienze, secondo quanto è più comodo e piacevole sul momento. Un atteggiamento molto comodo è proprio quello di non farsi troppi scrupoli, perché fermarsi a riflettere sulle conseguenze in noi e attorno a noi delle nostre azioni e delle nostre scelte costa fatica, il risultato è incerto, e poi sembra che in fondo non ci siano grandi differenze se ci comportiamo in un modo piuttosto che in un altro. Questa tendenza a regolare la vita secondo il proprio comodo e il proprio piacere, se non è controllata dalla ragione, dal desiderio di giustizia e di verità conduce il singolo e la società al relativismo morale il quale, per giustificare le proprie voglie, chiama il male bene, e il bene male, a seconda delle convenienze (Is 5, 20). L'io e le sue voglie diventano allora l'idolo a cui tutto e tutti devono sacrificare e servire. Il risultato, nel piccolo come nel grande, è la guerra di tutti contro tutti.

Anche per questa piaga le cose iniziano a poco a poco e fin da piccoli, per poi espandersi e invadere il singolo e la società con le brutture che ogni giorno opprimono e intristiscono la nostra vita. Una mamma dice al suo figlioletto: "Aiutami a sparecchiare la tavola". Lui, per evitare il fastidio di questo piccolo servizio, mentendo dice: "Devo andare in bagno". Quando torna la tavola è ormai sparecchiata e lui ha evitato la seccatura. L'idea infantile che sta dietro questo comportamento è che il mio bene deve corrispondere a ciò che è più comodo e piacevole in questo momento, e quindi bisogna assolutamente evitare ciò che è faticoso e amaro. Ora, il bene di una persona non sempre corrisponde a ciò che è più comodo e piacevole, ma molto spesso comporta ciò che è faticoso, amaro, doloroso. Andare a scuola, studiare, fare i compiti, è molto più faticoso e meno piacevole che andare a giocare, ma col tempo procurerà dei beni e delle gioie che non si sarebbero ottenuti se uno avesse speso il suo tempo solo a giocare. Così, per guarire, a volte bisogna prendere delle medicine amare, e per non morire a volte si devono subire dolorose operazioni.

Bisogna inoltre considerare cosa comporta la ricerca del mio bene e della mia comodità nei confronti delle persone che mi stanno vicino. Molto spesso infatti il mio piacere e la mia comodità comporta un dispiacere e un aggravio di fatica per gli altri. Marito e moglie rientrano a casa dopo otto ore di lavoro, lui si siede comodamente in poltrona e riposa, mentre lei prepara la cena, apparecchia, sparecchia, lava i piatti, stira… Lui, dopo cena esce e, per cercare qualche nuova emozione, qualche piacere diverso dal solito, passa la serata con una prostituta. Una vita senza comodità e piaceri forti, che vita è?

Vediamo in questo caso che se non ci si educa ad essere attenti e sensibili anche alle necessità e al bene dell'altro, rinunciando quando è il caso alle nostre comodità e ai nostri piaceri, diventiamo prima o poi orribili e ripugnanti come il lebbroso, incapaci di relazioni mature e quindi destinati ad essere esclusi dalla società, oppure destinati a vivere in una società di lebbrosi. Una società in cui ognuno pensa solo a sé e ai propri comodi è una società votata alla decadenza e alla morte. Quindi, il bene personale e collettivo dipende anche dalla mia attenzione per le necessità e il bene degli altri.

Un errore comunissimo nella ricerca dei piaceri, della felicità, o della pienezza di vita, è quello di lanciarsi senza riflettere nell'impossibile impresa di saziare la nostra fame con le gioie che durano un momento. Per quanto ci affanniamo, fatichiamo o ci scervelliamo nel tentativo di raggiungere la felicità, tutto ciò che riusciamo a ottenere e a godere prima o poi finisce, si corrompe ed è inesorabilmente destinato a finire nella tomba. L'acuta presa di coscienza della brevità, della caducità, e dell'insufficienza delle nostre gioie, o della felicità che siamo riusciti a raggiungere, è un fatto doloroso, ma se non anestetizziamo questo dolore divenendo insensibili ai suoi richiami, questa dolorosa presa di coscienza sarà l'occasione per diventare sensibili ad altri richiami, quelli che ci annunciano l'esistenza di uno che può e vuole donarci una gioia, una vita, una felicità che durano eternamente.

L'insensibilità rispetto al Bello

Tutti desideriamo le cose belle, e questo è il segno che c'è in noi una certa sensibilità e connaturalità per ciò che è bello. Questa sensibilità naturale l'abbiamo come un dono, ma se non la coltiviamo, se non la facciamo crescere è come se stoltamente rinunciassimo a godere tesori e splendori riservati solo a coloro che sono disposti a fare un po' di fatica per venirne in possesso. Se non coltiviamo il desiderio di bellezza, questo a poco a poco si corrompe fino a renderci insensibili al bello, e allora saranno le brutture a invaderci. Ma l'insensibilità alla bellezza su cui conviene riflettere non è tanto quella nei confronti dell'arte, è piuttosto la nostra insensibilità nei confronti della bellezza delle relazioni fra le persone.

Penso che un aspetto della bellezza e della maturità di una relazione debba consistere nel corretto equilibrio fra il ricevere e il dare; quando questo accade, si ha lo splendore della circolazione dell'amore. Una piccola primizia o seme di questo splendore è quando due persone che si vogliono bene si scambiano un bacio. Una dona all'altra un segno del suo amore e contemporaneamente riceve in risposta lo stesso segno. La bellezza di una relazione, che è poi la bellezza dell'amore, è il massimo dei beni a cui possiamo e dobbiamo aspirare, ma questa bellezza e questo bene richiedono la disponibilità di un certo impegno, perché amare è un'arte che va appresa, è come una danza, un canto, una musica. Ci vogliono molti esercizi, pazienza e costanza.

Il campo di questi esercizi sono in fondo tre misteri: il mistero che ognuno di noi è per sé stesso, il mistero di Dio e il mistero delle persone che incontriamo. Bisogna però considerare che i chiamati a esercitarsi e a godere la bellezza dell'amore non sono persone normali, ma persone ferite. In seguito alla rottura della relazione fondamentale, che è quella con Dio, noi siamo delle persone disgraziate, infelici, piene di nodi, di paure, di durezze, di miopie, di stoltezze, di debolezze, di povertà. Tu dici: “Sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla”, ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo (Ap 3, 17).

Questo è il punto di partenza di chi è comunque chiamato a godere un giorno degli splendori dell'amore trinitario. Il guaio è che noi facciamo di tutto per allontanarci da questo punto di partenza, facciamo di tutto per fuggire o anestetizzare l'oscuro presentimento della nostra profonda infelicità e povertà, la loro presa di coscienza ci terrorizza, e per sconfiggere questo nemico siamo disposti a tutto. Così, come dice il padre Molinié: "La nostra povertà e infelicità, che non sono un peccato, rendono possibile ogni peccato".

Non sai di essere infelice, miserabile, povero, cieco e nudo. Non ci sono alternative: la nostra salvezza o guarigione passa per l'acuta presa di coscienza della verità sulla nostra reale condizione. Noi facciamo di tutto per combattere e fuggire la luce che illumina le nostre povertà, ma così facendo fuggiamo dalla condizione necessaria per beneficiare della salvezza che Dio ci offre e così combattiamo contro il nostro vero bene. Per questo il Signore cerca di suggerirci: Beati i poveri, beati gli afflitti, beati quelli che hanno fame e sete (Mt 5, 3-6), beati i lebbrosi, i ciechi, gli storpi, gli zoppi, i paralitici... per loro è preparato un banchetto, una festa con musica e danze, una festa che non avrà mai fine.

Tuttavia, per quanti sforzi facciamo, non possiamo fuggire sempre; tutti andiamo incontro a un giorno in cui le maschere dovranno cadere e le nostre filosofie strampalate dovranno riconoscere la loro inconsistenza. Se in quel giorno sapremo riconoscere e accettare la nostra povertà, se sapremo invocare il nome del Signore, saremo salvi, altrimenti saranno guai e andremo nel posto che la nostra cocciutaggine avrà meritato.

Evidentemente è molto più saggio cercare di affrontare prima il mistero della nostra povertà, è molto meglio invocare prima il soccorso e la salvezza che solo il Signore può dare. Lui ci assicura che gli afflitti saranno consolati, quelli che hanno fame saranno saziati, i poveri saranno arricchiti, i lebbrosi, i paralitici, i ciechi saranno guariti. Questa guarigione è caratterizzata da due momenti che potremmo chiamare: guarigione fondamentale e guarigione progressiva. La guarigione fondamentale si ha quando ci rendiamo conto che la situazione in cui ci troviamo non ha e non può avere soluzioni umane. Allora, se siamo disposti a metterci in ginocchio e invocare umilmente il soccorso del Signore, Lui, prima o poi si manifesterà. Sperimenteremo così che in Lui solo possiamo trovare la pace, la consolazione, la gioia, la verità, l'amore, il senso della vita. A questo insostituibile e decisivo momento segue un lungo cammino di progressiva guarigione dai guasti e dalle imperfezioni che ci sono nelle relazioni con noi stessi, con Dio, con gli altri e con le cose.

In generale nelle nostre relazioni ci sono delle disarmonie o stonature che ci rendono sgradevoli a noi e agli altri, l'equilibrio nel dare e nel ricevere non è rispettato, pecchiamo sempre per eccesso o per difetto, le nostre iniziative sono spesso fuori tempo. La nostra povertà o bisogno di ricevere ci rende egoisti, avari, aggressivi, tendiamo a sfruttare o servirci degli altri per i nostri bisogni e se veniamo ostacolati e contrariati diventiamo prepotenti e scontrosi. Il nostro bisogno di dare ci rende spesso molesti e opprimenti, manchiamo di rispetto per la libertà, la maturità, la dignità e il mistero dell'altro. Se abbiamo responsabilità educative o dobbiamo gestire delle persone, rischiamo di essere troppo duri o troppo arrendevoli.

Il rapporto con noi stessi può essere falsato da un'indebita esaltazione o da disistima e disprezzo di sé. Per quanto riguarda l'estensione delle relazioni ci limitiamo spesso a una piccola cerchia di nostri simili escludendo tutti gli altri, specialmente se questi altri non sono troppo simpatici o hanno delle povertà che li rendono poco amabili. Volontariamente o involontariamente rischiamo ogni momento di ferire o di venir feriti. Di qui la raccomandazione del Signore di disporre il nostro cuore a perdonare sempre. Siamo inoltre condizionati dall'epoca e dal contesto sociale in cui ci troviamo, dall'educazione ricevuta e dall'inclinazione del carattere. Questi condizionamenti a volte sono positivi e a volte negativi; da questi ultimi dobbiamo difenderci e, se sono radicati, devono essere estirpati. Un altro aspetto da considerare è l'instabilità del nostro umore il quale, nella depressione e nell'euforia, influenza negativamente la qualità delle relazioni.

Anche i nostri rapporti con Dio sono problematici e necessitano di aggiustamenti. Nella nostra mente ci sono su di Lui idee più o meno giuste che convivono con altre piuttosto sbagliate: le prime devono crescere e le seconde diminuire. Di solito nel nostro cuore si trovano insieme e in varia misura: l'amore di Dio e la paura, la fede e il dubbio, la confidenza e la diffidenza, l'aspirazione alla gioia e la paura del dramma. Ne risultano paralisi e irrigidimenti che bloccano l'espandersi della vita. A volte assomigliamo a dei bambini cocciuti che dicono sempre no quando la mamma propone loro qualcosa per il loro bene. Vi sono poi alcune lezioni che dobbiamo imparare bene. Una è che niente può riempire veramente il nostro cuore se non Dio solo. Un'altra è quella di fidarci di Dio anche quando ci conduce per vie che non comprendiamo, contrarie ai nostri gusti, alle nostre inclinazioni e al nostro sentire. Un'altra ancora è quella di imparare a non disperare anche nelle situazioni più drammatiche e senza vie d'uscita, dobbiamo imparare a sperare e credere che l'ultima parola non è delle tenebre e della morte, ma della risurrezione e della vita.

Questi esempi incompleti e non approfonditi delle nostre piaghe spirituali, dovrebbero suggerirci atteggiamenti di pazienza e di misericordia verso noi e verso gli altri, di perseveranza e docilità nel lasciarci curare dall'unico medico in grado di sapere come operare sull'abisso del nostro cuore malato. Solo il Signore sa quali cure devono essere fatte prima e quali dopo, quali trattamenti il nostro stato è in grado di sopportare e quali no… Inoltre, il considerare che chi ha già incontrato il Signore rimane in uno stato di guarigione progressiva dovrebbe aiutarci a non stupirci delle incoerenze, delle miserie, delle imperfezioni e debolezze che a volte riscontriamo in noi o in chi da lungo tempo serve e segue il Signore. Che Lui ci aiuti ad essere docili, per ben collaborare alla realizzazione del progetto che ha su di noi.

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Meditazioni  Info
  • Ultimo aggiornamento 09-01-2024

    Meditazione sul libro di Giobbe (Capitoli: 1-42)

    La santità di Giobbe - Un principio di giustizia violato - Le due fasi della prova di Giobbe - La protesta di Giobbe - Gli amici di Giobbe - L’inizio di una disputa infuocata - La paura di Dio - Come può essere giusto un uomo davanti a Dio? - Giobbe fa saltare i nervi ai suoi amici ...

  • Il perdono che non può essere concesso (Gv 20, 22-23)

    A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi - che cos'è il peccato? - scoperta di alcuni paradossi - l'abominio del peccato originale - l’appuntamento a cui non possiamo mancare

  • La parabola dei talenti (Mt 25, 13-30 || Lc 19, 11-28) - IIa parte

    Il bisogno di amare - poco e molto, storia in due tempi - le paure del servo malvagio - l’oscuramento della ragione - Dio non ci chiede più di quanto possiamo dare - chi è umile accetta di farsi aiutare - la possibilità della perdizione - tentativo di riflessione sull’inferno - come evitare la perdizione

  • La parabola dei talenti (Mt 25, 13-30 || Lc 19, 11-28) - Ia parte

    Un compito difficile - Ciò che non vorremmo sentire - Il rischio di un malinteso - Cosa si aspetta il padrone dai suoi servi - Il problema del vero bene dell’uomo - Prima il poco, poi il molto

  • La parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro

    Cristo giudica il ricco malvagio - Un caso di impenitenza finale - Esame dei sentimenti del ricco - Il pensiero di Santa Caterina da Siena - La parabola nell’opera di Maria Valtorta - Più di un morto che risuscita...

  • Le riche épulon et le pauvre Lazare Francese

    Le Christ juge le mauvais riche - Un cas d’impénitence finale - Examen des sentiments du riche - La pensée de Sainte Catherine de Sienne - La parabole dans l'œuvre de Maria Valtorta - Plus qu’un mort qui ressuscite...

  • Come mai questo tempo non sapete valutarlo?

    Difficoltà di valutare il senso del tempo - Un compito troppo difficile - L’invito inascoltato - L’inevitabile combattimento.

  • Aprì loro la mente per comprendere le scritture

    Non è così facile comprendere le Scritture - Il centro delle Scritture - Un progetto singolare - Non è una questione di belle parole.

  • Il fico maledetto

    Come gli antichi profeti - L'osservazione di Marco - Senza vie di scampo - L'attacco - Il contrattacco - Sacerdoti, scribi e noi.

  • Gesù esamina Pietro sull'amore

    Le domande di Gesù - Le risposte di Pietro - Pietro abbandonato dal Signore - Nato per fare il capo - Teresina di Lisieux e don Divo Barsotti.

  • Gli invitati al banchetto di nozze - 2

    Il re cerca altri commensali - Un invito accolto con poco entusiasmo - Situazioni impossibili - Due volte indegni - Un pericolo mortale.

  • Gli invitati al banchetto di nozze - 1

    Un racconto paradossale e drammatico - Ci bastano le feste umane - Come si uccidono i messaggeri di Dio - Apparente ingiustizia.

  • Quando Dio resiste alla preghiera ... (Lc 11, 5-13)

    Non ho nulla da offrirgli - Un singolare amico - Non conosciamo noi stessi - Fatti per un altro mondo ...

  • La parabola degli operai nella vigna (Mt 20, 1-16)

    Difficoltà  di comprendere un comportamento ingiusto - Ingiustizia che torna a nostro favore - Chi consola questa parabola.

Consapevole che le meditazioni proposte non sono che incerti balbettii, faccio appello alla carità  del lettore perché vengano accolte con benevolenza. In fondo, davanti a Dio, siamo tutti dei bambini bisognosi di imparare a parlare l'unica lingua che si parli nel suo Regno, la lingua dell'amore.

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