Meditazioni sul Vangelo

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Med. br107

La luce splende nelle tenebre (Gv 1, 1-18)

Una volta il padre Molinié si trovò in difficoltà per la Messa di Natale, non sapeva più cosa dire dopo le innumerevoli volte che aveva predicato in quell’occasione, poi gli venne l’idea che, a seconda del punto di vista, Natale è una festa molto gioiosa oppure molto austera: per gli uomini la festa è gioiosa in quanto nasce finalmente il loro Salvatore, ma per Gesù è molto austera, perché diversi aspetti nella sua nascita alludono già al mistero della Croce. Ci sono infatti diverse austerità: l’inverno, il freddo, la notte, la lontananza da casa, la stalla come unico ricovero, ma soprattutto la durezza di cuore degli uomini: non c'era posto per loro nell'albergo (Lc 2, 7), Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. Nelle icone che rappresentano la natività, Gesù non è deposto in una mangiatoia, ma in un sepolcro rettangolare, avvolto strettamente in fasce come la sindone lo avvolgerà nella tomba; inoltre, è al centro di una cavità rocciosa completamente nera, figura del mondo che giace nelle tenebre e nell'ombra della morte (Lc 1, 79).

Nella notte di Natale gli Angeli invitano a gioire, ma perché gioire?... Alcuni fatti raccontati nel Vangelo non sembrano indicati per suscitare la gioia: Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo (Lc 2, 7). Questo è ciò che l'uomo offre al suo Creatore: un rifiuto o una stalla! C’è da vergognarsi, non da gioire! Forse Dio non sapeva che sarebbe stato accolto in quel modo? Certo che lo sapeva: Io sapevo che sei davvero perfido e che ti si chiama sleale fin dal seno materno (Is 48, 8); eppure, manda gli Angeli ad annunciare: Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia (Lc 2, 10-12). Dunque, il motivo della gioia è: noi siamo così poveri e miseri che possiamo offrire a Dio solo una povera stalla, ma Dio proprio lì vuole nascere, perché viene per colmare la nostra povertà e risanare le nostre ferite; lui, povero, ci risana e ci arricchisce unicamente con il suo amore.

Tutto è paradossale nel cristianesimo, tutto sconvolge e sconquassa i nostri corti pensieri, purtroppo, noi siamo così malati, insensibili e distratti che non ci accorgiamo dell’amore folle di Dio per noi: il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto; così, l’amore di Dio non ci sorprende e non ci meraviglia. Padre Molinié evidenzia bene questo aspetto: “Noi non amiamo Dio perché non sappiamo che Dio ci ama, e non sappiamo che Dio ci ama perché non lo amiamo”. Gesù viene proprio per cercare di rompere questo circolo vizioso, ma il suo amore può manifestarsi solo in coloro che accettano di riconoscere la loro miseria, l’unico luogo in cui possiamo incontrare veramente Gesù è la nostra indigenza, e più essa è grande più si rivelerà grande Gesù nel porvi rimedio; più un malato è grave, più è grande la gloria del medico capace di guarirlo.

Gesù non nasce in un luogo bello e confortevole, non nasce nel nostro alloggio più o meno riccamente arredato, in cui tentiamo di nascondere a noi e agli altri l’infelicità che ci opprime e l'incapacità di amare che fa di noi dei barbari... Gesù nasce in una stalla per dirci che è la nostra abitazione più disadorna e maleodorante che ha un disperato bisogno di Lui. È lì che sono condotti dagli Angeli i pastori, figura del cammino che l’uomo deve compiere per raggiungere la consapevolezza della propria povertà; e se anche noi ci lasceremo condurre dagli Angeli scopriremo che la bontà di Dio si rivela proprio nelle desolazioni e nelle infermità da cui vorremmo sempre e inutilmente fuggire; fuggire la nostra miseria è fuggire Dio. Se offriremo al Signore la nostra povera stalla, faremo gioire prima di tutto Lui, perché allora potrà finalmente salvarci e manifestare tutta la delicatezza, la grandezza e la sapienza del suo amore, e la luce splenderà nelle tenebre.

C’è un’altra immagine di Natale che suggerisce, in modo più velato ma più forte, l’amore folle di Dio per noi, ed è: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia; se consideriamo che la mangiatoia è per il pasto degli animali, potremmo dedurre che Gesù è venuto proprio per lasciarsi mangiare da noi, che, incapaci di amare, siamo simili agli animali, allora, il rimedio che Dio inventa è di farsi mangiare dagli animali perché gli animali possano ridiventare uomini, anzi, più che uomini: A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio; chi mangia il Figlio di Dio viene trasformato in figlio di Dio.

Dobbiamo però considerare la follia dell’amore di Dio non solo applicata alla storia dei singoli, ma all’intera storia umana. Troviamo a questo proposito un’efficace riflessione nella lettera a Diogneto; scritto di un credente dei primi secoli, ritrovato solo nel 1436 da un giovane chierico in un mercato di Costantinopoli - la lettera doveva essere utilizzata per incartare i pesci -, ecco il testo: Dio permise che noi “rimanessimo in balia d’istinti disordinati e fossimo trascinati fuori della retta via dai piaceri e dalle cupidigie, seguendo il nostro arbitrio. Certamente non si compiaceva dei nostri peccati, ma li sopportava; neppure poteva approvare quel tempo d’iniquità, ma preparava l’era attuale di giustizia, perché, riconoscendoci in quel tempo chiaramente indegni della vita a motivo delle nostre opere, ne diventassimo degni in forza della sua misericordia, e perché, dopo aver mostrato la nostra impossibilità di entrare con le nostre forze nel suo regno, ne diventassimo capaci per la sua potenza.

Quando poi giunse al colmo la nostra ingiustizia e fu ormai chiaro che le sovrastava, come mercede, solo la punizione e la morte, ed era arrivato il tempo prestabilito da Dio per rivelare il suo amore e la sua potenza (o immensa bontà e amore di Dio!), egli non ci prese in odio, né ci respinse, né si vendicò. Anzi ci sopportò con pazienza. Nella sua misericordia prese sopra di sé i nostri peccati. Diede spontaneamente il suo Figlio come prezzo del nostro riscatto: il santo per gli empi, l’innocente per i malvagi, il giusto per gli iniqui, l’incorruttibile per i corruttibili, l’immortale per i mortali. Che cosa avrebbe potuto cancellare le nostre colpe, se non la sua giustizia? Come avremmo potuto noi, traviati ed empi, ritrovare la giustizia se non nel Figlio unico di Dio? O dolce scambio, o ineffabile creazione, o imprevedibile ricchezza di benefici: l’ingiustizia di molti veniva perdonata per un solo giusto e la giustizia di uno solo toglieva l’empietà di molti!”.

Vediamo allora che, sia a livello personale, sia a livello collettivo, opera sempre la stessa legge, lo stesso paradosso, vale a dire: dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia; Dio ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia! (Rm 5, 20. 11, 32). Non dobbiamo allora temere di lasciarci condurre alla grotta, ossia alla consapevolezza della nostra povertà, della nostra incapacità di amare, del nostro peccato, perché è lì che permetteremo a Gesù di operare secondo il significato del suo nome, ossia, “Dio salva”, ma per salvare ha bisogno che noi riconosciamo il bisogno di essere salvati, perché non abbiamo in noi la vita, la luce e l’amore.

Bossuet in un’omelia di Natale del 1665 così metteva in guardia i fedeli: “Se il nostro maggior male è la nostra incapacità di amare, allora è proprio di Gesù Cristo che abbiamo bisogno; se al contrario il nostro maggior male è la povertà o la miseria, allora Gesù Cristo non è il nostro Salvatore: non è venuto per questo”. Analogamente, se noi speriamo la salvezza dall’esercizio dei valori umani come la bontà, la rettitudine, l’onestà, la giustizia sociale... se speriamo di risolvere i conflitti col dialogo, le trattative, le conferenze di pace... non è di Gesù Cristo che abbiamo bisogno, perché confidiamo nell’impossibile impresa di salvarci da soli; i migliori propositi degli uomini sono come delle case costruite sulla sabbia, crollano al primo temporale. Don Divo Barsotti acutamente osserva che “Nell'amore del prossimo l'uomo di oggi si difende da Dio”. Gesù lo dice e la sua parola non passerà mai: Senza di me non potete far nulla (Gv 15, 5); purtroppo, troppi fra coloro che dovrebbero insistere nel ricordarci questa parola, in ogni occasione opportuna e non opportuna (2Tm 4, 2), tacciono, oppure insistono nell’illudere chi li ascolta che i problemi si risolvono con il “dialogo”; così gli uomini, preferendo il dialogo a Cristo, si inoltrano sempre più nelle tenebre.

Maria e Giuseppe ci guidino verso la grotta, dove ci attendono per mostrarci il Bambino che Dio ha dato agli uomini perché si salvino per mezzo di lui, e allora sarà la gioia.

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Meditazioni  Info
  • Ultimo aggiornamento 09-01-2024

    Meditazione sul libro di Giobbe (Capitoli: 1-42)

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  • Il perdono che non può essere concesso (Gv 20, 22-23)

    A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi - che cos'è il peccato? - scoperta di alcuni paradossi - l'abominio del peccato originale - l’appuntamento a cui non possiamo mancare

  • La parabola dei talenti (Mt 25, 13-30 || Lc 19, 11-28) - IIa parte

    Il bisogno di amare - poco e molto, storia in due tempi - le paure del servo malvagio - l’oscuramento della ragione - Dio non ci chiede più di quanto possiamo dare - chi è umile accetta di farsi aiutare - la possibilità della perdizione - tentativo di riflessione sull’inferno - come evitare la perdizione

  • La parabola dei talenti (Mt 25, 13-30 || Lc 19, 11-28) - Ia parte

    Un compito difficile - Ciò che non vorremmo sentire - Il rischio di un malinteso - Cosa si aspetta il padrone dai suoi servi - Il problema del vero bene dell’uomo - Prima il poco, poi il molto

  • La parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro

    Cristo giudica il ricco malvagio - Un caso di impenitenza finale - Esame dei sentimenti del ricco - Il pensiero di Santa Caterina da Siena - La parabola nell’opera di Maria Valtorta - Più di un morto che risuscita...

  • Le riche épulon et le pauvre Lazare Francese

    Le Christ juge le mauvais riche - Un cas d’impénitence finale - Examen des sentiments du riche - La pensée de Sainte Catherine de Sienne - La parabole dans l'œuvre de Maria Valtorta - Plus qu’un mort qui ressuscite...

  • Come mai questo tempo non sapete valutarlo?

    Difficoltà di valutare il senso del tempo - Un compito troppo difficile - L’invito inascoltato - L’inevitabile combattimento.

  • Aprì loro la mente per comprendere le scritture

    Non è così facile comprendere le Scritture - Il centro delle Scritture - Un progetto singolare - Non è una questione di belle parole.

  • Il fico maledetto

    Come gli antichi profeti - L'osservazione di Marco - Senza vie di scampo - L'attacco - Il contrattacco - Sacerdoti, scribi e noi.

  • Gesù esamina Pietro sull'amore

    Le domande di Gesù - Le risposte di Pietro - Pietro abbandonato dal Signore - Nato per fare il capo - Teresina di Lisieux e don Divo Barsotti.

  • Gli invitati al banchetto di nozze - 2

    Il re cerca altri commensali - Un invito accolto con poco entusiasmo - Situazioni impossibili - Due volte indegni - Un pericolo mortale.

  • Gli invitati al banchetto di nozze - 1

    Un racconto paradossale e drammatico - Ci bastano le feste umane - Come si uccidono i messaggeri di Dio - Apparente ingiustizia.

  • Quando Dio resiste alla preghiera ... (Lc 11, 5-13)

    Non ho nulla da offrirgli - Un singolare amico - Non conosciamo noi stessi - Fatti per un altro mondo ...

  • La parabola degli operai nella vigna (Mt 20, 1-16)

    Difficoltà  di comprendere un comportamento ingiusto - Ingiustizia che torna a nostro favore - Chi consola questa parabola.

Consapevole che le meditazioni proposte non sono che incerti balbettii, faccio appello alla carità  del lettore perché vengano accolte con benevolenza. In fondo, davanti a Dio, siamo tutti dei bambini bisognosi di imparare a parlare l'unica lingua che si parli nel suo Regno, la lingua dell'amore.

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