Meditazioni sul Vangelo

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Med. br96

Il grido a cui Gesù risponde (Lc 17, 11-19)

Gesù non è venuto per guarire i sani ma gli ammalati, e nel suo andare per villaggi e città, per monti e per mari ne incontra in ogni luogo; tutti coloro che si rivolgono a lui non rimangono delusi, non c’è malattia, per quanto grave, che non possa guarire, l’unica condizione è chiedere di essere guariti. Così è successo a dieci lebbrosi i quali, quando sentono che Gesù passa per il loro villaggio, gli corrono incontro e gridano: Gesù, maestro, abbi pietà di noi! Gesù li guarisce tutti, ma solo un Samaritano ritorna a ringraziare.

Il vantaggio di guarire i malati è che questi sanno di essere malati, i sani invece, sono malati e non lo sanno: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio (Rm 3, 23). Evidentemente c’è una malattia del corpo, che alcuni non hanno, e c’è una malattia che tutti abbiamo ed è la privazione della gloria di Dio; siamo privi della gloria di Dio in quanto solidali nell’umanità con chi per primo ha rotto l’amicizia con Dio. Noi siamo stati pensati per partecipare alla gloria di Dio, esserne privi è essere in un esilio dove abbondano disagi e pericoli; se poi la privazione della gloria dipende da una colpa, allora la situazione è ancora più grave ed è simile a chi è debilitato da grave malattia. Il fatto che subiamo le conseguenze di una colpa che non abbiamo commesso è un grande mistero, ma se non accettiamo la luce oscura di questo mistero non comprenderemo mai nulla di quello che ci sta capitando individualmente e collettivamente; e in effetti, stiamo capendo molto poco dei tempi tristi che stiamo attraversando.

I ciechi, gli storpi, gli zoppi, i lebbrosi che incontriamo nel vangelo - e nella vita quotidiana -, sono la rappresentazione agli occhi della carne delle malattie umanamente incurabili che affliggono la nostra anima. La buona notizia è che Gesù può guarire tutte le malattie, ma alla nostra guarigione si oppongono due ostacoli grandi come una montagna; il primo è che siamo convinti di essere sani, soprattutto se non abbiamo malattie corporali, ma per i sani Gesù è perfettamente inutile; il secondo è che, anche quando ci accorgiamo che qualcosa non va: nell’umore, nelle relazioni, nell’equilibrio mentale, a causa di angosce esistenziali o di situazioni impossibili... non pensiamo minimamente di rivolgerci al Signore, ma speriamo sempre che lo specialista di turno risolva il nostro caso. Se avessimo fede, Gesù ci guarirebbe, ma non abbiamo fede.

Vista la situazione, rimane al Signore un estremo tentativo, lasciare che la malattia si aggravi in modo tale che risulti evidente che nessun medico umano potrebbe guarirla; è quello che è successo all’emorroissa: aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando (Mc 5, 26). Per questa via passiamo un po’ tutti, se almeno alla fine riuscissimo a gridare al Signore saremmo salvi: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato (Rm 10, 13). Infatti, i dieci lebbrosi che Gesù incontra gridano: Gesù, maestro, abbi pietà di noi! E lui immediatamente li guarisce, perché ci sono in loro tutte le condizioni per essere guariti, vale a dire: la consapevolezza della malattia, la consapevolezza della vanità di ogni rimedio umano, la supplica a Gesù, l’obbedienza alle sue indicazioni; non avrebbero gridato se non avessero avuto fiducia in lui e speranza nella guarigione.

La lebbra è un’immagine molto eloquente della malattia dell’anima; infatti, essa si manifesta quando alcune parti del corpo diventano insensibili al dolore, al caldo e al freddo, ai graffi… poi, a poco a poco, l’insensibilità si estende e il corpo si corrompe diventando sempre più informe e orribile. Così nella nostra anima ci sono delle insensibilità più o meno diffuse che rischiano di estendersi e di renderla orribile; tra queste la più grave è l’insensibilità all’amore di Dio, a causa di questa viviamo come se Dio non ci fosse e così diventiamo a poco a poco insensibili al bene e al male, al vero e al falso, al bello e al brutto, al senso o al non senso della vita; il risultato è una società di lebbrosi che non si rendono conto di essere tali; allora vediamo ciechi che guidano altri ciechi; zoppi che pretendono di essere gli unici a camminare diritto; ipocriti belli di fuori e marci dentro che pretendono posti di prestigio, potere, ammirazione dagli uomini. Come è orribile la vista di un lebbroso, così è orribile vedere la lebbra che oggi ammorba il mondo. È triste vedere il cambiamento del bene in male e del male in bene; della menzogna in verità e della verità in menzogna; il verosimile e l’incerto sono imposti come indiscutibili certezze; si utilizzano in modo perverso tecniche psicologiche per condizionare i popoli; i dati di natura sono stravolti e piegati al capriccio umano; le follie più inverosimili prevalgono sul buon senso… ovunque, emergono i peggiori tra gli uomini (Sal 11, 9 Cei 74); il loro potere e la loro perversione sono tali da non esitare a precipitare il mondo in un mare di sofferenze e di tenebre.

È anche utile considerare il seguente paradosso: mentre la malattia del corpo è quasi immediatamente visibile e perciò si cerca subito di curarla, per l’anima è il contrario, più uno è ammalato meno si accorge di essere tale, infatti, i più grandi peccatori non sospettano e non ammettono di essere peccatori. Questa cecità non è senza gravi conseguenze, perché da origine a una lotta vera e propria contro la Luce; come chi è a lungo abituato al buio soffre la luce del giorno, così i peccatori non sopportano la luce di Cristo, in quanto manifesta loro ciò che sono, allora la spengono e si fa buio su tutta la terra (Mt 27, 45).

Un altro aspetto della lebbra che tanto o poco ci affligge, sono le relazioni umane che non funzionano come dovrebbero; a questo proposito padre Molinié evidenzia il seguente circolo vizioso: “Noi non ci amiamo gli uni gli altri, perché abbiamo paura gli uni degli altri, e abbiamo paura gli uni degli altri perché non ci amiamo”. È duro prendere atto di questa miseria, allora, per rimediare, facciamo come se non fossimo malati, come se fossimo capaci di amare e scambiamo per amore fraterno i nostri goffi tentativi di imitare l’amore autentico; mentendo gli uni agli altri non facciamo che peggiorare le cose.

Se poi consideriamo il nostro amore per Dio la situazione non è più consolante; sempre il padre Molinié così esordisce nel libro “Il combattimento di Giacobbe”: “Noi non siamo capaci di amare Dio, perché non sappiamo che Dio ci ama. E non sappiamo che Dio ci ama, perché non lo amiamo”. Anche su questo punto tendiamo a mentire e a illuderci di amare Dio. Don Divo Barsotti saggiamente ci avverte: “Dio ti ama. Ma tu non devi credere troppo presto di amarlo”.

Il brano di vangelo della guarigione dei lebbrosi non consente scappatoie, non ci sono altri protagonisti se non Gesù da una parte e i dieci lebbrosi dall’altra; fra loro, un grido che nasce dal dolore e dalla speranza per una guarigione umanamente impossibile. Questa scena riassume e descrive la condizione umana dei singoli e dell’umanità. Tuttavia, l’essere lebbrosi, l’essere peccatori, non sono un problema, anzi, la malattia e il peccato possono contribuire molto a frantumare il nostro orgoglio, e da un cuore frantumato e umiliato più facilmente può uscire il grido a cui il Signore vuole rispondere. L’unico ostacolo che Gesù incontra nel guarirci è quando neghiamo il peccato, questo atteggiamento è pericoloso perché può sfociare nel peccato contro lo Spirito Santo che non può essere perdonato; negare il peccato è anche negare Colui che perdona il peccato, è come dirgli: “Non ho bisogno di te”.

Noi tendiamo a rimuovere il dramma dell'esistenza pensando Dio come un buon vicino a cui chiedere aiuto in caso di necessità; la rivelazione insegna invece che le vere relazioni sono: fra chi salva e chi è perduto; fra l’amore e il non amore; fra un amante geloso e una sposa infedele; fra il medico e il malato; fra chi sa e chi ignora; fra il ricco e l’indigente; fra la misericordia e la miseria; fra il maestro e il discepolo. Solo se accettiamo di stare in queste relazioni il vangelo diventa una buona notizia, perché annuncia che Dio si propone di trasformare l’ammalato in sano, l’infedele in fedele, il povero in ricco, l’ignorante in sapiente, l’afflitto in beato. Come uno sposo introduce la sposa nella stanza nuziale, così Dio vuole introdurre i miseri nello splendore della sua gloria.

Maria, vergine e madre, figlia e sposa, umile e gloriosa, apra la nostra mente e ci accompagni sui sentieri che conducono alla Gloria.

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  • Ultimo aggiornamento 09-01-2024

    Meditazione sul libro di Giobbe (Capitoli: 1-42)

    La santità di Giobbe - Un principio di giustizia violato - Le due fasi della prova di Giobbe - La protesta di Giobbe - Gli amici di Giobbe - L’inizio di una disputa infuocata - La paura di Dio - Come può essere giusto un uomo davanti a Dio? - Giobbe fa saltare i nervi ai suoi amici ...

  • Il perdono che non può essere concesso (Gv 20, 22-23)

    A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi - che cos'è il peccato? - scoperta di alcuni paradossi - l'abominio del peccato originale - l’appuntamento a cui non possiamo mancare

  • La parabola dei talenti (Mt 25, 13-30 || Lc 19, 11-28) - IIa parte

    Il bisogno di amare - poco e molto, storia in due tempi - le paure del servo malvagio - l’oscuramento della ragione - Dio non ci chiede più di quanto possiamo dare - chi è umile accetta di farsi aiutare - la possibilità della perdizione - tentativo di riflessione sull’inferno - come evitare la perdizione

  • La parabola dei talenti (Mt 25, 13-30 || Lc 19, 11-28) - Ia parte

    Un compito difficile - Ciò che non vorremmo sentire - Il rischio di un malinteso - Cosa si aspetta il padrone dai suoi servi - Il problema del vero bene dell’uomo - Prima il poco, poi il molto

  • La parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro

    Cristo giudica il ricco malvagio - Un caso di impenitenza finale - Esame dei sentimenti del ricco - Il pensiero di Santa Caterina da Siena - La parabola nell’opera di Maria Valtorta - Più di un morto che risuscita...

  • Le riche épulon et le pauvre Lazare

    Le Christ juge le mauvais riche - Un cas d’impénitence finale - Examen des sentiments du riche - La pensée de Sainte Catherine de Sienne - La parabole dans l'œuvre de Maria Valtorta - Plus qu’un mort qui ressuscite...

  • Come mai questo tempo non sapete valutarlo?

    Difficoltà di valutare il senso del tempo - Un compito troppo difficile - L’invito inascoltato - L’inevitabile combattimento.

  • Aprì loro la mente per comprendere le scritture

    Non è così facile comprendere le Scritture - Il centro delle Scritture - Un progetto singolare - Non è una questione di belle parole.

  • Il fico maledetto

    Come gli antichi profeti - L'osservazione di Marco - Senza vie di scampo - L'attacco - Il contrattacco - Sacerdoti, scribi e noi.

  • Gesù esamina Pietro sull'amore

    Le domande di Gesù - Le risposte di Pietro - Pietro abbandonato dal Signore - Nato per fare il capo - Teresina di Lisieux e don Divo Barsotti.

  • Gli invitati al banchetto di nozze - 2

    Il re cerca altri commensali - Un invito accolto con poco entusiasmo - Situazioni impossibili - Due volte indegni - Un pericolo mortale.

  • Gli invitati al banchetto di nozze - 1

    Un racconto paradossale e drammatico - Ci bastano le feste umane - Come si uccidono i messaggeri di Dio - Apparente ingiustizia.

  • Quando Dio resiste alla preghiera ... (Lc 11, 5-13)

    Non ho nulla da offrirgli - Un singolare amico - Non conosciamo noi stessi - Fatti per un altro mondo ...

  • La parabola degli operai nella vigna (Mt 20, 1-16)

    Difficoltà  di comprendere un comportamento ingiusto - Ingiustizia che torna a nostro favore - Chi consola questa parabola.

Consapevole che le meditazioni proposte non sono che incerti balbettii, faccio appello alla carità  del lettore perché vengano accolte con benevolenza. In fondo, davanti a Dio, siamo tutti dei bambini bisognosi di imparare a parlare l'unica lingua che si parli nel suo Regno, la lingua dell'amore.

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