Meditazioni sul Vangelo

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Delitto e castigo (Lc 16, 19-31)

Le parole del Signore sono così ricche, dense e profonde che, se non facciamo molta attenzione e non riflettiamo con impegno, molti insegnamenti, sfumature, collegamenti, pluralità di sensi ci sfuggiranno, anzi, anche impegnandoci, se ci va bene vedremo meno della metà di quello che c’è da vedere. Questa considerazione vale ancor di più per le parabole, che volutamente nascondono con cura i misteri del Regno (Mt 13, 11).

Nella parabola del “Ricco gaudente e del povero Lazzaro” rischiamo di non comprendere bene alcuni aspetti, tra questi: la responsabilità del ricco nella morte di Lazzaro, il castigo eterno che si merita, il problema della bontà, reale o apparente, dei suoi sentimenti nei confronti dei fratelli, l’accecamento della sua mente e la mancanza di pentimento per il delitto commesso.

Gesù aveva detto: Fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne (Lc 16, 9). Il ricco gaudente invece, non solo non ha messo in pratica questa parola, ma la sua durezza di cuore ha ucciso Lazzaro e, cosa ancor più grave, non si è pentito di averlo ucciso.

Alcuni commentatori, con i loro “dotti” e sofisticati ragionamenti, sostengono che, in realtà, il ricco non è all’inferno, ma nel regno dei morti e, per i suoi buoni sentimenti, un giorno andrà in paradiso; il vangelo però, non autorizza questi pensieri. Quando il Signore nel vangelo di Matteo parla del giudizio finale, dice chiaramente che meritano un castigo eterno coloro che hanno indurito il cuore quando lo hanno visto affamato e non gli hanno dato da mangiare, assetato e non gli hanno dato da bere, nudo e non lo hanno vestito, malato e carcerato e non lo hanno visitato (Mt 25, 41-46), ora, quasi tutti questi mali affliggevano il povero Lazzaro, ma il ricco nella parabola si è comportato esattamente come coloro che il Signore condanna alla pena eterna.

Il ricco gaudente ha ostinatamente voluto ignorare le sofferenze di Lazzaro; anche se non sapeva che la sua durezza di cuore, nella persona di Lazzaro metteva a morte Cristo, Cristo poteva dirgli: "Lontano da me, maledetto, nel fuoco eterno, perché ho avuto fame e non mi hai dato da mangiare, ho avuto sete e non mi hai dato da bere, ero nudo e non mi hai vestito; il pane che non hai dato a Lazzaro è a me che non l'hai dato. Hai preferito dare gli avanzi della tua mensa ai cani e li hai negati a un uomo che vale più di molti cani. Ogni giorno giacevo alla tua porta a mendicare un po' di pietà e tu me l'hai negata. Alla tua porta c'era Lazzaro, ma in lui ero io che mendicavo la tua salvezza. Se per pietà mi avessi dato anche solo le briciole dei tuoi banchetti ti saresti salvato, ma la tua crudeltà anche le briciole mi ha negato; la tua crudeltà è stata causa di morte per me e di dannazione per te. Il giorno in cui Lazzaro è morto è cessato anche l’estremo tentativo che la mia misericordia e la mia giustizia avevano messo in atto per salvare la tua anima; in quel giorno la mia sapienza ha detto basta, perché sarebbe stato inutile continuare, il tuo indurimento era ormai senza rimedio!".

Questo il fine della parabola: mostrare i due possibili stati a cui conducono le nostre azioni, e mostrare che questi stati sono definitivi; non sarebbero definitivi se il ricco nei tormenti potesse un giorno salire dove si trova Lazzaro, ma questo è chiaramente escluso dall’affermazione di Abramo: Coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi.

Qualcuno potrebbe pensare che i buoni sentimenti manifestati dal ricco nei confronti dei fratelli siano un segno di pentimento, e quindi meriti di andare in paradiso dopo aver espiato la sua colpa. Dobbiamo però considerare che, se si fosse trattato di vero pentimento Abramo avrebbe dovuto esultare, perché nel mondo di Dio tutti sono abitati dall’amore e non mancherebbero di esultare per un atto di pentimento in qualunque momento avvenga e da qualunque luogo provenga, perché vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte (Lc 15, 10). Nella parabola però nessuno esulta per i sentimenti manifestati dal ricco, vediamo invece nei suoi confronti una chiusura totale, nessuna delle sue preghiere è esaudita, tutte sono implacabilmente respinte. Questo dovrebbe farci riflettere, ed evitare di ritenere plausibile il pentimento del ricco. Quando un peccatore si pente, le sue parole sono molto diverse da quelle del ricco, un vero penitente supplica: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre dinanzi… quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto. Tu sei giusto Signore! Io soffro perché ho peccato (Lc 18, 3; Sal 50, 5-6; Est 4, 17; 2Mac 7, 18).

Invece, quando il ricco vede Lazzaro insieme ad Abramo, non pensa minimamente di chiedergli perdono per averlo lasciato morire di stenti, ma con una presunzione e un’arroganza da non credere, pretende di farsi servire da colui che lui aveva ucciso: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma. Mai il ricco malvagio riconosce la sua colpa, mai manifesta dolore per il male compiuto, mai manifesta il proposito di riparare in qualche modo al male fatto a Lazzaro. Lo vediamo invece insistere per la seconda volta nell’arrogante pretesa di volersi servire di Lazzaro per i suoi scopi: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli, li ammonisca, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormenti. Al che Abramo risponde: Hanno Mosè e i profeti; ascoltino loro. A questa risposta il ricco oppone nuovamente la sua ostinata presunzione di conoscere meglio dei santi ciò che giova alla salvezza dell’uomo, ribatte infatti: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. Evidentemente il ricco non comprende la risposta di Abramo, tuttavia, vorrebbe far prevalere i suoi corti pensieri giudicandoli più saggi di quelli di Abramo.

È interessante notare come il cuore del ricco non sia cambiato neanche dopo aver fatto l’esperienza sconvolgente del passaggio da questo all’altro mondo; conferma così le parole di Abramo: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti. Infatti, il ricco stava facendo un’esperienza più forte di quella che avrebbe voluto per i suoi fratelli, lui non incontra solo un morto risorto, ma vive in permanenza nel regno dei morti; tuttavia, non si pente e contesta le parole di Abramo: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro..., dice così perché, per lui Mosè e i Profeti erano stati completamente inefficaci; non avendo giovato alla sua salvezza pensa che non gioveranno neanche alla salvezza dei suoi fratelli.

Non vede che, se uno risorgesse dai morti, non potrebbe indicare una via di salvezza diversa da quella che Dio ha previsto per tutti, ossia, l’osservanza della legge data da Mosè e la predicazione dei Profeti, ma questa via non la possono né vedere, né percorrere coloro che si ostinano a contestare Dio e a trascurare le sue leggi per ricercare con avidità ogni possibile godimento; se poi la coscienza li rimprovera, come li rimproverebbe un profeta, la fanno tacere fino a farla morire, ma una coscienza morta genera morte. Se la coscienza di un uomo ricco e potente muore, i poveri e i deboli sono in grande pericolo, perché ogni delitto diventa possibile e la morte di Lazzaro ne è una chiara conferma. Quindi, il delitto più grave del ricco gaudente non è l’uccisione di Lazzaro, ma l’uccisione della sua coscienza da cui deriverà l’uccisione di Lazzaro. La parabola dice infine che verrà immancabilmente un giorno in cui sarà fatta giustizia; i gaudenti, i prepotenti e i duri di cuore saranno castigati, e coloro che, pur avendo subito ingiustizie non sono diventati ingiusti, saranno beatificati.

Che la Santa Vergine ci aiuti a comprendere, ci liberi dalle ottuse contestazioni e dalla durezza di cuore.


Una più ampia riflessione sulla parabola, in particolare sui sentimenti del ricco, la trovi all’indirizzo:

http://www.medvan.it/lazzaroeilricco.asp

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Consapevole che le meditazioni proposte non sono che incerti balbettii, faccio appello alla carità  del lettore perché vengano accolte con benevolenza. In fondo, davanti a Dio, siamo tutti dei bambini bisognosi di imparare a parlare l'unica lingua che si parli nel suo Regno, la lingua dell'amore.

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