Meditazioni sul Vangelo

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Med. br83

Fa' questo e vivrai (Lc 10, 25-37)

Un dottore della legge vuole mettere alla prova Gesù e lo interroga: Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna? La sua intenzione sembra animata da un desiderio sincero di conoscere la verità, infatti, quando Gesù a sua volta gli chiede: Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi? Risponde: Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso. Gesù gli dice: Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai; è la risposta che Gesù stesso avrebbe dato, il dottore della legge merita quindi il titolo che ha.

Ognuno di noi per il fatto di esistere ormai esiste per sempre, ma ci sono due modi di esistere per sempre, uno consiste nel ricevere in eredità la vita di Dio stesso e l’altro è riservato a chi rifiuta il dono della vita divina, la vita eterna potrà quindi essere o beata o dannata. Giustamente il dottore della legge chiede cosa bisogna fare per ereditare la vita beata, ed è interessante notare come sia consapevole che questa vita è allo stesso tempo qualcosa che dipende da noi, ma anche un dono di Dio, di qui l’importanza di sapere qual è la nostra parte per venirne in possesso, per questo chiede: Che cosa devo fare per ereditare...? Noi dobbiamo fare qualcosa che ci abiliti a ricevere un’eredità, ossia un dono. Ma in che cosa consiste questa eredità, che cos’è la vita eterna? Gesù lo dice: Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo (Gv 17, 3). Se questa è la vita eterna, possiamo sinceramente dire che è qualcosa che desideriamo? Qualcosa per cui siamo disposti a fare qualche sforzo? Che cosa facciamo in questa vita per conoscere Dio e colui che lui ha mandato? Eppure, se noi esistiamo è perché Dio ci ha pensati per avere in eredità la vita eterna. Siamo fatti per la vita eterna anche se non lo sappiamo, anche se non la desideriamo, anche se non sappiamo di desiderarla; noi al massimo desidereremmo un prolungamento all’infinito delle gioie e dei piaceri di questo mondo, ma non ci rendiamo conto che le gioie e i piaceri del mondo, anche prolungati all’infinito, nel giro di un secolo o di un millennio, diventerebbero una noia mortale, proprio perché siamo fatti per altro; la nostra grandezza è tale che niente ci basta se non Dio solo, ma la nostra miseria è tale che ci ostiniamo a volere dai beni di questo mondo ciò che essi non possono dare.

Dobbiamo prendere atto della lacerazione che c’è in noi e ci fa soffrire: da un lato il peso della nostra grandezza ci attira verso la vita eterna, ossia verso Dio, dall’altro lato il peso della nostra miseria ci attira verso la vita terrena, ossia verso la morte; in questo consiste la complessità e il mistero della condizione umana: nell’intreccio inestricabile della nostra miseria con la nostra grandezza. Ma all’interno di questa lacerazione, possiamo e dobbiamo fare qualche cosa; ciò che possiamo fare non è nell’ordine dell’efficacia, ma nell’ordine del desiderio; quanto all’efficacia siamo chiamati a renderci conto che qualunque nostra iniziativa e qualunque nostro sforzo, non riusciranno a guarirci, non riusciranno a darci la pace, non riusciranno a procurarci la felicità; ma il nostro desiderio, nonostante la corruzione, può desiderare la rettitudine, nonostante la nostra incapacità di amare veramente, può desiderare di amare come Gesù ama, in una parola, nonostante il nostro multiforme peccato possiamo desiderare la santità. Il desiderio c’è, ed è serio, se cerchiamo di favorire ogni impulso, ogni tendenza, ogni occasione che ci attira verso la vita eterna, verso la dignità di figli di Dio, verso il presentimento di un’altra vita e di un altro mondo: il mondo della Luce e dell’Amore. Al dottore della legge e a noi Gesù dice: Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto (Mt 7, 7). “Chiedete la Luce, cercate l’Amore, bussate alle porte del Regno” … Fate questo e vivrete.

Ma in profondità, chi è il dottore della legge e chi siamo noi? Noi siamo quel viandante che scendendo da Gerusalemme a Gerico è incappato nei briganti e ora giace a terra mezzo morto, non completamente morto e non completamente vivo, ma in bilico fra la vita e la morte, da questo deriva che quanto all’efficacia non possiamo far nulla, ma possiamo desiderare di non morire, possiamo desiderare la vita, possiamo desiderare il Salvatore; solo Gesù capisce veramente la nostra situazione qualunque essa sia, ed è in grado di chinarsi sulle nostre ferite, di medicarle e provvedere al percorso non breve della riabilitazione. Ma perché il Salvatore possa salvarci dobbiamo lasciarlo libero di operare secondo il suo genio, non dobbiamo intralciarlo con le nostre paure, con i nostri pregiudizi, con la nostra mediocrità, in una parola, col voler decidere noi il percorso di guarigione alla luce dei nostri corti pensieri. Per guarire e per essere salvati non dobbiamo resistere alla luce che mostra come il viandante incappato nei briganti siamo proprio noi, il profeta Natan potrebbe dire a ognuno di noi quello che ha detto al re Davide: Tu sei quell’uomo! (2Sam 12, 7). Noi per evitare questa dolorosa presa di coscienza prendiamo la pericolosa scorciatoia di collocarci subito dalla parte dei guariti; per sentici a posto vogliamo occuparci dei malati, ma rifiutiamo di riconoscere di essere noi i malati.

Di solito questa scorciatoia è presa dalle persone religiose, dalle persone fervorose, dagli apostoli. Poco riflettiamo sul fatto che il Signore, per guarire gli apostoli, è stato costretto a mostrare loro, senza ombra di dubbio, quanto erano malati e debilitati da varie piaghe che nemmeno sospettavano di avere: la loro piaga era soprattutto un attaccamento imprudente al “loro giudizio”, e questo li portava a presumere di aver capito la vita, di aver capito Gesù e di conoscere sé stessi; la loro presunzione li portava anche a essere poco attenti e a trascurare certe parole di Gesù, soprattutto quelle che annunciavano persecuzione, umiliazione, crocifissione; la loro vista era annebbiata, e non sospettavano lo strapotere che le Tenebre potevano esercitare in certi momenti, meno ancora sospettavano la loro estrema debolezza di fronte a questo potere. Loro che erano stati scelti per stare sempre con Gesù, che erano i privilegiati, che più di ogni altro dovevano essere un esempio di amore per Dio e per i fratelli, hanno fallito clamorosamente su entrambi i fronti. Gesù, nel momento del bisogno, nel momento della più tremenda persecuzione che stava per abbattersi su di lui li supplica di vegliare e di stargli vicino, ma li trova addormentati e all’arrivo della turba malvagia li vede fuggire. Toccano così con mano quanto valeva il loro presunto amore: sia per Gesù in quanto Dio, sia per Gesù in quanto uomo; mancano quindi nell’amore del prossimo e nell’amore di Dio. Inoltre, nei confronti dei fratelli, quale esempio di coraggio, di fedeltà, di amore verso il Maestro hanno dato? I fratelli non li hanno certo edificati con il loro comportamento, ma li hanno scandalizzati.

Questi fatti dicono che la dolorosa presa di coscienza di essere noi l’uomo incappato nei briganti non è risparmiata a nessuno. Allora, un primo atto di vero amore di Dio è fidarsi di lui e lasciare che la sua luce penetri in noi per mostrare quello che deve mostrare. Così verso i fratelli, non li ameremo mai veramente se non li guarderemo con lo sguardo con cui Gesù guarda loro e noi, feriti e morenti lungo la via che scende da Gerusalemme a Gerico. Noi, sul nostro stato di salute, tendiamo a ingannare noi stessi e gli altri, ma Gesù non lo possiamo ingannare. Amare gli altri come Gesù li ama - secondo un’acuta osservazione del padre Molinié -, è “amarli nella loro miseria” perché è così che Gesù ci ama, è così che Gesù ha amato e perdonato i suoi apostoli nell’ora in cui si è manifestata tutta la loro miseria. Se lasciamo agire Gesù nella nostra vita, il suo comando: Fa’ questo e vivrai, può riservarci non poche sorprese.

Che la Santa Vergine corregga i nostri errori e ci aiuti a comprendere veramente le parole di suo Figlio.

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  • Ultimo aggiornamento 09-01-2024

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    Le Christ juge le mauvais riche - Un cas d’impénitence finale - Examen des sentiments du riche - La pensée de Sainte Catherine de Sienne - La parabole dans l'œuvre de Maria Valtorta - Plus qu’un mort qui ressuscite...

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  • Gli invitati al banchetto di nozze - 1

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    Non ho nulla da offrirgli - Un singolare amico - Non conosciamo noi stessi - Fatti per un altro mondo ...

  • La parabola degli operai nella vigna (Mt 20, 1-16)

    Difficoltà  di comprendere un comportamento ingiusto - Ingiustizia che torna a nostro favore - Chi consola questa parabola.

Consapevole che le meditazioni proposte non sono che incerti balbettii, faccio appello alla carità  del lettore perché vengano accolte con benevolenza. In fondo, davanti a Dio, siamo tutti dei bambini bisognosi di imparare a parlare l'unica lingua che si parli nel suo Regno, la lingua dell'amore.

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