Meditazioni sul Vangelo

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I DUE COMANDAMENTI (Mt 22, 34-40)

Due comandamenti

Continuano le insidie dei capi di Israele nei confronti di Gesù, dopo l’alleanza dei farisei con gli erodiani, che tendeva a metterlo in difficoltà nei confronti dei Romani con la domanda sul tributo a Cesare, si presentano i sadducei - i quali dicono che non c’è risurrezione - (Mt 22, 23). Ogni volta Gesù smaschera le loro trame e dimostra una sapienza superiore, tanto che: La folla, udendo ciò, era stupita dal suo insegnamento (Mt 22, 33). Ma, nonostante le sconfitte, o proprio a causa di esse, la determinazione dei farisei nel voler eliminare Gesù non viene meno, anzi, si rafforza: I farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme. Quando i farisei si riuniscono c’è sempre parecchio da temere, perché in genere architettano piani per eliminare Gesù; la loro ostilità è particolarmente forte a Gerusalemme, e nel tempio. Questa volta tentano di mettere in difficoltà Gesù interrogandolo sulla legge: Uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?».

La domanda del dottore della legge

Se le intenzioni dei farisei sono in genere cattive nei confronti di Gesù, l’intenzione di questo dottore della legge non appare chiaramente malvagia, infatti Gesù non reagisce severamente, non gli dice: “Ipocrita”, ma risponde alla sua domanda riassumendo, a beneficio di tutti, il cuore della legge che deve governare i rapporti degli uomini con Dio e degli uomini fra di loro. Gli rispose: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti.

È vero che l’evangelista dice: Lo interrogò per metterlo alla prova, ma mettere alla prova non è un’azione malvagia in sé, tutto dipende dall’intenzione di chi mette alla prova, e questa può essere buona o cattiva. San Giovanni nella sua prima lettera insegna: Non prestate fede a ogni ispirazione, ma mettete alla prova le ispirazioni, per saggiare se provengono veramente da Dio (1Gv 4, 1). Si può dunque mettere alla prova un’ispirazione, una dottrina, una persona, per amore della verità, per vedere se vengono veramente da Dio, oppure per combattere la verità, come di solito fanno i farisei. Sant’Ambrogio sintetizza efficacemente il significato della prova o della tentazione: “A volte è Dio che tenta, altre volte è il diavolo: il diavolo tenta per rovinare, Dio tenta per incoronare”. Dio mette alla prova per un fine buono, il diavolo per un fine cattivo, e così è per noi, possiamo mettere alla prova per un fine buono o cattivo.

Ogni legge buona e giusta è fatta per il bene dell’uomo, perché osservandola possa crescere in conoscenza, vita, amore, bellezza, ordine… non è quindi indifferente osservare o non osservare i due comandamenti dell’amore: osservarli è fonte di vita, non osservarli è fonte di morte. Se viviamo in un tempo in cui la menzogna, la corruzione, la malvagità e la morte, dominano, è segno che i comandamenti dell’amore non sono osservati. Questi comandamenti dicono anche il senso della vita, la quale ha senso solo se mettiamo al primo posto l’amore verso Dio e verso i fratelli.

Il primato dell’amore

C’è un amore particolare che tende a essere totalizzante e a non tollerare tiepidezze, è il caso del “grande amore” dell’uomo per donna che diventerà sua sposa; l’uomo dona tutto se stesso alla donna e la donna dona tutta se stessa all’uomo, da questo dono totale nasce lo splendore dell’amore, la trasfigurazione della vita e la propagazione della vita. Ma l’amore umano per quanto nobile e buono, per quanto in un primo tempo riesca a dare senso e a trasfigurare la vita, ha dei limiti e non può soddisfare un desiderio senza limiti, non ha il potere di rinnovare per sempre lo splendore dei suoi primi momenti; tuttavia, lo splendore dell’amore vorrebbe essere “per sempre”. La persona che può soddisfare e rinnovare “per sempre” lo splendore dell’amore è Dio solo, bisognerà allora scoprire che solo a lui è dovuto il dono di tutto il nostro cuore. Per questo Gesù dice: Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo (Lc 14, 26).

Se Dio è amore (1Gv 4, 8), crea per amore e il suo progetto e le sue leggi sono le leggi dell’amore, a questo proposito il cardinale Giacomo Biffi osserva: “Amerai. La religione non prescrive prima di tutto e sopra tutto: Non fare, oppure: Fà. Prima di tutto e sopra tutto dice: Amerai. La religione, prima e più che un patrimonio di idee, di usi, di precetti, di opere buone, risiede nel cuore. La fede nella sua autenticità, prima di ogni altra cosa, è una specie di innamoramento, e possiede tutto lo slancio, l’insaziabilità, il desiderio non mai placato di superarsi, che è proprio di un essere raggiunto e dominato dall’amore. Chi nella vita religiosa punta al minimo (per esempio: evitare le colpe più gravi, arrivare a messa il più tardi possibile, occuparsi delle pene altrui nella misura minima e meno impegnata), o anche solo si contenta di quello che egli è (senza nessuna ansia di crescere e di migliorare), contraddice la logica dell’amore, che vuole dare sempre di più, e misconosce la realtà profonda del suo rapporto con Dio”.

Non siamo stati noi ad amare Dio

In ogni rapporto d’amore c’è l’amante e c’è l’amato, Dio è l’amante e noi siamo la persona amata. Colui che per primo ha deciso di avere un rapporto d’amore con noi è Dio, da questo segue che amare Dio con tutto noi stessi è prima di tutto e soprattutto lasciarsi amare da Dio, noi lo amiamo nella misura in cui rispondiamo a un amore che ci precede e supera tutte le nostre capacità di amare. È lui che ci ha donato la vita senza chiederci il permesso, è lui che manda i suoi messaggeri per invitarci al banchetto di nozze in cui lui è lo sposo e noi la sposa. Dio non era obbligato a donarci la vita, ma ce l’ha donata perché desidera costruire con noi un rapporto d’amore simile a quello dello sposo con la sposa; amarlo con tutto il cuore è rispondere al suo desiderio.

San Giovanni proclama: In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati (1Gv 4, 10). Vittima di espiazione per i nostri peccati! Perché la fidanzata tradisce continuamente il suo fidanzato commettendo il più terribile dei peccati, e questo provoca il più lacerante dei dolori. Gesù ci mostra il suo amore tradito agonizzando sulla croce; sulla croce ci mostra contemporaneamente l’orrore del peccato, ossia l’amore offeso, disprezzato, deriso…, e lo splendore del suo amore che, nonostante tutto, sempre ci chiama ed è pronto a perdonare ogni tradimento. Questa non è una storia d’amore all’acqua di rose, è la storia dell’amore incandescente di Dio per noi; amore che giunge a versare tutto il suo sangue nel tentativo di risvegliare la nostra incoscienza: Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno (Lc 23, 34), e di incendiare la nostra tiepidezza: Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! (Lc 12, 49). In nessun’altra religione al mondo c’è un simile dramma ed è manifestato un simile amore, perciò, la risposta adeguata all’amore di Dio non può che essere: Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo comandamento è più impegnativo dopo la venuta di Gesù, perché in Gesù vi è la massima manifestazione dell’amore di Dio per noi, e non rispondere a un simile amore diventa particolarmente grave: A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto (Lc 12, 48).

Lasciarsi amare da Dio riserverà inevitabilmente qualche sorpresa, è un cammino che comporta una duplice conoscenza, si tratterà di conoscere sempre meglio chi è Dio, e chi siamo noi. Noi siamo il non amore amato dall’Amore; più la luce dell’amore di Dio ci investe, più vediamo chiaramente la nostra miseria. Quando un raggio di sole illumina una stanza buia vediamo l’aria satura di pulviscoli che normalmente non vedevamo; analogamente, quando la luce dell’amore penetra nell’oscurità del nostro cuore non può che mostraci quanto esso sia saturo di imperfezioni incompatibili con l’amore, ma questo è un buon segno, perché significa che stiamo consentendo all’amore di compiere le purificazioni necessarie per rendere la sposa degna dello Sposo. È la situazione degli invitati al banchetto di nozze a cui è chiesto di sostituire l’abito sporco e lacero, con l’abito nuziale degno del banchetto regale. L’operazione è delicata e può durare tutta la vita e anche oltre, perché niente di impuro o di sconveniente può essere ammesso alla festa dell’amore nel castello del Re.

L’amore del prossimo

Quanto detto ha ripercussioni anche sul versante dell’amore del prossimo. Siccome Dio ci ama nonostante la nostra miseria, anche noi siamo chiamati ad amare il prossimo nonostante la sua miseria. Infatti, il comandamento nuovo di Gesù prevede: Che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri (Gv 13, 34). Ora, Gesù ci ama, non perché siamo belli e buoni, ma perché non lo siamo, tuttavia, il suo amore può e vuole renderci tali. Ai suoi occhi siamo tutti come i ciechi, gli storpi, e gli zoppi, invitati al banchetto del Re, i quali non possono parteciparere al banchetto senza spogliarsi dell’abito vecchio e indossare l’abito nuovo. Dobbiamo allora lasciare operare Gesù perché possa compiere tale sostituzione, perché ci renda degni di stare fra i principi della sua corte, come chiaramente è detto nel salmo: Solleva l'indigente dalla polvere, dall'immondizia rialza il povero, per farlo sedere tra i principi, tra i principi del suo popolo (Sal 112, 7-8). Praticare l’amore del prossimo, di solito, non dà grandi soddisfazioni, il prossimo è simile a noi, ossia pieno di difetti, di spigoli, di durezze, di ignoranze, di miserie… eppure Dio ci ama, e anche noi dobbiamo amare il prossimo nonostante i suoi difetti. Se tutti ci impegnassimo un po’ di più per correggerci, amare il prossimo sarebbe molto più agevole.

L’insegnamento di Teresina di Lisieux

Ma ascoltiamo sull’amore del prossimo l’insegnamento di Santa Teresina di Lisieux. “In qual modo Gesù ha amato i suoi discepoli, e perché li ha amati? Ah, non erano le loro qualità naturali che potevano attirarlo, c'era tra loro e lui una distanza infinita [leggiamo: ‘tra noi e lui’]. Egli era la Scienza, la Sapienza eterna; essi erano dei poveri pescatori ignoranti e pieni di pensieri terrestri. Tuttavia Gesù li chiama suoi amici, suoi fratelli. Vuole vederli regnare con lui nel regno di suo Padre, e per aprir loro questo regno vuole morire sopra una croce… meditando su queste parole di Gesù ho capito quanto l'amore mio per le mie sorelle era imperfetto, ho visto che non le amavo come le ama Dio. Capisco ora che la carità perfetta consiste nel sopportare i difetti degli altri, non stupirsi delle loro debolezze, edificarsi dei minimi atti di virtù che essi praticano… la carità deve illuminare, rallegrare, non soltanto coloro che mi sono più cari, ma tutti coloro che sono nella casa, senza eccettuar nessuno… Signore, so che voi non comandate alcunché d'impossibile, conoscete meglio di me la mia debolezza, la mia imperfezione, voi sapete bene che mai potrei amare le mie sorelle come le amate voi, se voi stesso, o mio Gesù, non le amaste ancora in me… Sì, lo sento, quando sono caritatevole è Gesù solo che agisce in me, più sono unita con lui, più amo anche tutte le mie sorelle.” (Storia di un’anima, Man. C).

Non dobbiamo farci troppe illusioni sulla nostra capacità di amare i fratelli, Teresina è categorica: “Mai potrei amare le mie sorelle come le amate voi”. Potremmo a volte pensare di amare i fratelli ma, se osservassimo bene, vedremmo che amiamo le loro qualità: la loro intelligenza, la loro bellezza, la loro gentilezza, il loro coraggio, la loro forza… ma non li amiamo come Gesù li ama, ossia nella loro miseria e povertà; questo tipo di amore lui solo lo possiede, ma se ci uniamo a lui lo possiamo possedere anche noi: “Mai potrei amare le mie sorelle come le amate voi, se voi stesso, o mio Gesù, non le amaste ancora in me… più sono unita con lui, più amo anche tutte le mie sorelle”.

La Santa Vergine ci guidi sulle vie dell’amore, perché suo Figlio possa in noi vivere e amare.

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Meditazioni  Info
  • Ultimo aggiornamento 09-01-2024

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  • Il perdono che non può essere concesso (Gv 20, 22-23)

    A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi - che cos'è il peccato? - scoperta di alcuni paradossi - l'abominio del peccato originale - l’appuntamento a cui non possiamo mancare

  • La parabola dei talenti (Mt 25, 13-30 || Lc 19, 11-28) - IIa parte

    Il bisogno di amare - poco e molto, storia in due tempi - le paure del servo malvagio - l’oscuramento della ragione - Dio non ci chiede più di quanto possiamo dare - chi è umile accetta di farsi aiutare - la possibilità della perdizione - tentativo di riflessione sull’inferno - come evitare la perdizione

  • La parabola dei talenti (Mt 25, 13-30 || Lc 19, 11-28) - Ia parte

    Un compito difficile - Ciò che non vorremmo sentire - Il rischio di un malinteso - Cosa si aspetta il padrone dai suoi servi - Il problema del vero bene dell’uomo - Prima il poco, poi il molto

  • La parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro

    Cristo giudica il ricco malvagio - Un caso di impenitenza finale - Esame dei sentimenti del ricco - Il pensiero di Santa Caterina da Siena - La parabola nell’opera di Maria Valtorta - Più di un morto che risuscita...

  • Le riche épulon et le pauvre Lazare

    Le Christ juge le mauvais riche - Un cas d’impénitence finale - Examen des sentiments du riche - La pensée de Sainte Catherine de Sienne - La parabole dans l'œuvre de Maria Valtorta - Plus qu’un mort qui ressuscite...

  • Come mai questo tempo non sapete valutarlo?

    Difficoltà di valutare il senso del tempo - Un compito troppo difficile - L’invito inascoltato - L’inevitabile combattimento.

  • Aprì loro la mente per comprendere le scritture

    Non è così facile comprendere le Scritture - Il centro delle Scritture - Un progetto singolare - Non è una questione di belle parole.

  • Il fico maledetto

    Come gli antichi profeti - L'osservazione di Marco - Senza vie di scampo - L'attacco - Il contrattacco - Sacerdoti, scribi e noi.

  • Gesù esamina Pietro sull'amore

    Le domande di Gesù - Le risposte di Pietro - Pietro abbandonato dal Signore - Nato per fare il capo - Teresina di Lisieux e don Divo Barsotti.

  • Gli invitati al banchetto di nozze - 2

    Il re cerca altri commensali - Un invito accolto con poco entusiasmo - Situazioni impossibili - Due volte indegni - Un pericolo mortale.

  • Gli invitati al banchetto di nozze - 1

    Un racconto paradossale e drammatico - Ci bastano le feste umane - Come si uccidono i messaggeri di Dio - Apparente ingiustizia.

  • Quando Dio resiste alla preghiera ... (Lc 11, 5-13)

    Non ho nulla da offrirgli - Un singolare amico - Non conosciamo noi stessi - Fatti per un altro mondo ...

  • La parabola degli operai nella vigna (Mt 20, 1-16)

    Difficoltà  di comprendere un comportamento ingiusto - Ingiustizia che torna a nostro favore - Chi consola questa parabola.

Consapevole che le meditazioni proposte non sono che incerti balbettii, faccio appello alla carità  del lettore perché vengano accolte con benevolenza. In fondo, davanti a Dio, siamo tutti dei bambini bisognosi di imparare a parlare l'unica lingua che si parli nel suo Regno, la lingua dell'amore.

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