Meditazioni sul Vangelo

Meditazioni sul Vangelo

Meditazioni sul Vangelo

Meditazioni sul Vangelo

Med. br148

La follia umana... (Mt 21, 33-43)

Vignaioli omicidi

Con le parabole Gesù parla all’uomo del progetto d’amore di Dio sull’uomo. La parabola in cui si parla dei contadini che uccidono il figlio del padrone della vigna, si potrebbe anche intitolare: “La parabola della follia umana”. Dopo tutto quello che Dio ha fatto e fa per noi, noi rispondiamo al suo amore uccidendo suo Figlio, e questa è pura follia. La cosa vertiginosa è che Dio aveva previsto da tutta l’eternità l’uccisione di suo Figlio, eppure ha voluto creare e salvare l’uomo proprio mediante la morte in croce di Gesù. Dio risponde alla follia umana con la passione, morte e risurrezione di Gesù, come se, per salvare l’uomo non ci fosse altro rimedio che una follia ancora più grande, la follia dell’amore di Dio per noi, la follia della Croce. Questo mistero è grande (Ef 5, 32).

Non siamo nostri

Un uomo, possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Queste parole descrivono il dono dell’esistenza e il suo significato. Noi non siamo nostri, siamo di Colui che possiede il terreno e vi pianta la vigna, una vigna che non ci appartiene è piantata perché, a suo tempo, chi l’ha piantata possa raccoglierne i frutti; a tal fine, il padrone dispone quanto è necessario perché la vigna produca della buona uva. Tutto ciò che esiste appartiene a Dio, è lui il padrone di tutto, ed è giusto che a lui vadano i frutti della sua opera.

Dopo aver predisposto ogni cosa, il padrone se ne andò lontano; questo significa che Dio ci lascia liberi, ognuno può fare ciò che vuole con i doni ricevuti. Si aprono allora due vie davanti a noi: percorrere l’una è stoltezza, percorrere l’altra è saggezza. Intraprende la via della stoltezza chi trascura completamente l’esistenza del padrone e utilizza esclusivamente a proprio vantaggio i doni ricevuti, chi invece percorre la via della saggezza tiene conto della realtà, ossia che la vigna non gli appartiene, e la lavora perché produca frutti per il legittimo proprietario. Noi non abbiamo ricevuto l’esistenza come la riceve un sasso, una pianta o un animale, ossia esistenze prive di anima intelligente e immortale, ma avendo un’anima libera, intelligente e immortale siamo chiamati a riconoscere Colui che, avendoci donato tutto per amore, si aspetta di ricevere in cambio amore: l’amore sono i frutti che giustamente il padrone della vigna si aspetta di raccogliere.

Purtroppo, il nostro accecamento e la nostra stoltezza sono tali che utilizziamo i beni ricevuti per offendere Colui da cui li abbiamo ricevuti; li utilizziamo come se fossimo i proprietari legittimi e non gli affittuari, siamo inoltre talmente attaccati a questi beni e ai nostri giudizi che quando i servi del padrone vengono a ritirare il raccolto, andiamo su tutte le furie e non vogliamo cedere ciò che riteniamo esclusivamente nostro. I servi che vengono a ritirare il raccolto sono tutti quei richiami che a più riprese, e in vario modo, Dio ci invia per dirci che gli siamo debitori di tutto, che dobbiamo rendere conto a lui della gestione della vigna, che abbiamo verso di lui debiti di rispetto, di riconoscenza e di amore.

L’orgoglio della vita

Ci potremmo chiedere qual è l’ostacolo che impedisce di accogliere con benevolenza i servi del Padrone. Penso che dovremmo cercare nei luoghi in cui si annida l’orgoglio della vita, vale a dire quell’orgoglio che ci fa dire: “La vita è mia e la gestisco come voglio io; decido io ciò che è bene e ciò che è male, decido io dov’è la mia felicità”; questo orgoglio genera una lotta accanita fra noi e i servi del padrone, talmente accanita che, di solito, i servi del padrone hanno la peggio: I contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. La tragica sorte subita dai servi dice la gravità dello scontro in atto, è una lotta all’ultimo sangue, è una lotta per la vita. In campo ci sono la vita come la intendiamo noi da una parte, e la vita come Dio la intende dall’altra. Fin che non ci sarà pieno accordo fra le parti, non ci sarà tregua. Alla fine non ci sarà un pareggio: se vince Dio sarà il paradiso, se vinciamo noi sarà l’inferno.

Sarebbe molto più saggio, invece di combattere, fermarsi un momento a considerare la quantità e il valore delle forze in campo e agire di conseguenza; è quello che il Signore ci suggerisce nella parabola della costruzione della torre e della guerra dei re: Quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l'altro è ancora lontano, gli manda un'ambasceria per la pace. Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo (Lc 14, 31-33). Dio è il Re con l’esercito più forte e noi siamo il re con diecimila uomini, è grande stoltezza illudersi di poter vincere l’esercito che ne ha ventimila. Lo stesso concetto e lo stesso richiamo è ribadito da Gesù quando ci avverte: Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà (Mc 8, 35).

Voler salvare la propria vita è come voler tenere per sé il raccolto destinato al padrone della vigna, è come costruire una casa sulla sabbia, è candidarsi a fare l’esperienza del figlio prodigo che spende tutte le risorse avute in eredità senza trovare la felicità che cercava, trova invece ciò che non cercava e non voleva: fallimento, solitudine, angoscia, morte: Io qui muoio di fame! (Lc 15, 17). Ma il padrone del campo non si arrende facilmente, dopo la prima fallimentare spedizione, manda nuovamente altri servi: Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. Questa seconda iniziativa descrive ancora la nostra resistenza ai ripetuti richiami del Signore, e manifesta quanto sia tenace la nostra volontà di governare la vita secondo i nostri giudizi.

La follia di Dio

Dopo il fallimento anche della seconda spedizione, l’ulteriore iniziativa del padrone ha qualcosa di folle: Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto per mio figlio! Il cardinale Giacomo Biffi commenta: “È inverosimile che il padrone, dopo aver conosciuto per ripetuta esperienza che quei contadini ladri e prepotenti non arretrano neppure di fronte all’omicidio, rischi il suo figlio prediletto (cf, Mc 12, 6) e lo mandi da solo e senza alcuna protezione”. Con l’invio del Figlio il dramma raggiunge la massima intensità. È bene allora considerare alcuni aspetti del dramma divino umano in cui siamo coinvolti. Un primo aspetto è l’incredibile stoltezza umana, alla quale segue il più grande peccato che gli uomini possano commettere: I contadini, visto il figlio, dissero tra loro: Costui è l'erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. Pretendere di possedere e godere un’eredità mediante l’omicidio del legittimo erede, è una grande follia, e noi la commettiamo quando cerchiamo la vita escludendo l’autore della vita.

Giacomo Biffi commenta: “È inverosimile anche il ragionamento di quei malfattori che dicono: Costui è l'erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità. In quale codice è mai stato scritto che l’eredità possa passare agli uccisori dell’erede? Ma ciò che è senza plausibilità negli elementi del racconto, si è avverato alla lettera nella storia dei rapporti tra Dio e il popolo d’Israele. Israele è come una vigna che ha avuto le cure più attente da parte del Creatore del mondo. Ma è un amore che non ha ricevuto una corrispondenza adeguata”. Israele rappresenta in qualche modo tutta l’umanità, e ciò che ha compiuto nei confronti di Gesù è il peccato più grande che l’uomo possa commettere: l’uccisione del Figlio di Dio. Questo è un aspetto del mistero della croce che generalmente non è molto considerato, si predica quasi esclusivamente che la morte in croce di Gesù è la rivelazione massima dell’amore di Dio per noi.

Il paradosso che non vediamo

Un secondo aspetto che ci rivela la venuta del figlio del padrone, è effettivamente l’incredibile amore che Dio ha per noi; e l’amore di Dio è tanto più grande e incomprensibile, proprio perché Dio sapeva già a cosa sarebbe andato incontro inviando suo Figlio. Giustamente i predicatori insistono nel dire che la Croce è la massima manifestazione dell’amore di Dio per noi, ma siccome si dimenticano di dire che è anche la massima manifestazione del nostro peccato, non si rendono conto del seguente paradosso: se un aspetto della Croce è la massima manifestazione dell'amore di Dio per gli uomini, perché, nell'ora della Croce gli amici più intimi di Gesù fuggono spaventati? Perché la manifestazione massima dell'amore di Dio è qualcosa che, invece di attirare l'uomo, lo fa fuggire?... Evidentemente non si considera abbastanza che la Croce è anche la manifestazione massima del peccato dell'uomo; e quando l'uomo è chiamato a rendersi conto dell’orrore del proprio peccato è normale che voglia fuggire... La Croce è un mistero più grande di quanto possiamo immaginare, ed è uno spettacolo che le sole forze umane non riescono a reggere.

Il pericolo di essere liberi

Il terzo aspetto che possiamo considerare nella venuta del Figlio è il seguente: se Dio ha mandato suo figlio nel mondo sapendo che sarebbe stato crocifisso, non significa solo che l’amore di Dio per noi è senza misura, ma anche che il pericolo che ognuno di noi corre è molto grande. Se l’uomo non corresse alcun pericolo di perdersi per l’eternità - come stoltamente alcuni sostengono -, non si capisce perché Gesù avrebbe dovuto patire quello che ha patito; se l’uomo, praticamente non corre nessun rischio di perdersi, tutte le sofferenze patite da Gesù sarebbero inutili.

Ma qualcuno potrebbe obiettare, proprio perché Gesù ha patito tali sofferenze non è pensabile che qualcuno si perda; se qualcuno si perdesse, le sofferenze di Gesù sarebbero state inutili, almeno per quelli che si perdono, ma tale eventualità non è possibile, perché sarebbe una sconfitta della misericordia, la quale, essendo infinita, non può essere sconfitta. Questo ragionamento è seducente, c’è del vero, ma non è completamente vero. Esso non tiene conto della natura del rapporto d’amore che Dio vuole avere con l’uomo; Dio vuole da parte dell’uomo una libera risposta alla sua proposta d’amore, e la libertà dell’uomo può efficacemente dire di no all’amore che Dio gli propone. Nonostante tutto quello che Dio fa per lui, nonostante le sofferenze che è disposto a patire perché l’uomo, vedendo quanto è amato, gli risponda di sì, l’uomo ha il reale potere di dirgli di no.

Questo aspetto è particolarmente evidenziato nella parabola su cui stiamo meditando; nonostante un crescendo di richiami, nonostante l’invio del figlio, i vignaioli non ne vogliono sapere di dare i frutti della vigna al legittimo proprietario, non vogliono rispondere all’amore con l’amore, non vogliono che Dio regni su di loro. A questo punto vediamo che il padrone è costretto a togliere la vigna ai vignaioli omicidi: Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini? Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo»… Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti.

L’ora della verità

Quando verrà il padrone della vigna… Verrà per tutti il tempo di rendere conto della propria amministrazione, allora la stoltezza umana non potrà pretendere di avere ragione. Se il re con diecimila uomini non cerca la pace con il Re che ne ha ventimila, ma stoltamente lo combatte, combatte per essere sconfitto; i territori che si illudeva di poter conservare gli saranno tolti: li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà.

Accettare di perdere la propria vita, sottomettersi a un Re che è più forte di noi, riconoscere di non essere i proprietari assoluti della nostra vita, è duro al nostro orgoglio, è come la pietra che noi costruttori scartiamo; eppure, queste rinunce sono la pietra d'angolo su cui il Signore vuole costruire meraviglie. O ancora, il Signore che noi scartiamo, perché Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi (Lc 19, 14), è la pietra angolare senza la quale ogni edificio crolla. Non volere che Cristo venga a regnare su di noi, è l’equivalente dell’uccisione del figlio del padrone della vigna, e un delitto così grave comporta la perdita del regno di Dio. Invece, accettare la regalità di Cristo, accettare l’amore che ci propone, è costruire sulla roccia, e la pietra d’angolo su cui sarà costruita la casa, farà sì che essa sia una meraviglia ai nostri occhi.

La Santa Vergine ci preservi dalla follia di non accogliere suo Figlio.

Brevi riflessioni  Info

Anno A 50 meditazioni X

Data

Titolo

NOTA: Se vuoi stampare le riflessioni, verranno automaticamente esclusi: l'intestazione, le immagini, i menu e il piè di pagina. X

Meditazioni  Info
  • Ultimo aggiornamento 09-01-2024

    Meditazione sul libro di Giobbe (Capitoli: 1-42)

    La santità di Giobbe - Un principio di giustizia violato - Le due fasi della prova di Giobbe - La protesta di Giobbe - Gli amici di Giobbe - L’inizio di una disputa infuocata - La paura di Dio - Come può essere giusto un uomo davanti a Dio? - Giobbe fa saltare i nervi ai suoi amici ...

  • Il perdono che non può essere concesso (Gv 20, 22-23)

    A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi - che cos'è il peccato? - scoperta di alcuni paradossi - l'abominio del peccato originale - l’appuntamento a cui non possiamo mancare

  • La parabola dei talenti (Mt 25, 13-30 || Lc 19, 11-28) - IIa parte

    Il bisogno di amare - poco e molto, storia in due tempi - le paure del servo malvagio - l’oscuramento della ragione - Dio non ci chiede più di quanto possiamo dare - chi è umile accetta di farsi aiutare - la possibilità della perdizione - tentativo di riflessione sull’inferno - come evitare la perdizione

  • La parabola dei talenti (Mt 25, 13-30 || Lc 19, 11-28) - Ia parte

    Un compito difficile - Ciò che non vorremmo sentire - Il rischio di un malinteso - Cosa si aspetta il padrone dai suoi servi - Il problema del vero bene dell’uomo - Prima il poco, poi il molto

  • La parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro

    Cristo giudica il ricco malvagio - Un caso di impenitenza finale - Esame dei sentimenti del ricco - Il pensiero di Santa Caterina da Siena - La parabola nell’opera di Maria Valtorta - Più di un morto che risuscita...

  • Le riche épulon et le pauvre Lazare

    Le Christ juge le mauvais riche - Un cas d’impénitence finale - Examen des sentiments du riche - La pensée de Sainte Catherine de Sienne - La parabole dans l'œuvre de Maria Valtorta - Plus qu’un mort qui ressuscite...

  • Come mai questo tempo non sapete valutarlo?

    Difficoltà di valutare il senso del tempo - Un compito troppo difficile - L’invito inascoltato - L’inevitabile combattimento.

  • Aprì loro la mente per comprendere le scritture

    Non è così facile comprendere le Scritture - Il centro delle Scritture - Un progetto singolare - Non è una questione di belle parole.

  • Il fico maledetto

    Come gli antichi profeti - L'osservazione di Marco - Senza vie di scampo - L'attacco - Il contrattacco - Sacerdoti, scribi e noi.

  • Gesù esamina Pietro sull'amore

    Le domande di Gesù - Le risposte di Pietro - Pietro abbandonato dal Signore - Nato per fare il capo - Teresina di Lisieux e don Divo Barsotti.

  • Gli invitati al banchetto di nozze - 2

    Il re cerca altri commensali - Un invito accolto con poco entusiasmo - Situazioni impossibili - Due volte indegni - Un pericolo mortale.

  • Gli invitati al banchetto di nozze - 1

    Un racconto paradossale e drammatico - Ci bastano le feste umane - Come si uccidono i messaggeri di Dio - Apparente ingiustizia.

  • Quando Dio resiste alla preghiera ... (Lc 11, 5-13)

    Non ho nulla da offrirgli - Un singolare amico - Non conosciamo noi stessi - Fatti per un altro mondo ...

  • La parabola degli operai nella vigna (Mt 20, 1-16)

    Difficoltà  di comprendere un comportamento ingiusto - Ingiustizia che torna a nostro favore - Chi consola questa parabola.

Consapevole che le meditazioni proposte non sono che incerti balbettii, faccio appello alla carità  del lettore perché vengano accolte con benevolenza. In fondo, davanti a Dio, siamo tutti dei bambini bisognosi di imparare a parlare l'unica lingua che si parli nel suo Regno, la lingua dell'amore.

NOTA: Se vuoi stampare le meditazioni, verranno automaticamente esclusi: l'intestazione, le immagini, i menu e il piè di pagina. X