Meditazioni sul Vangelo

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Med. br131

Chi mangia me vivrà per me (Gv 6, 51-56)

Lanciano

Il cristianesimo non è un’invenzione degli uomini, è qualcosa che discende dal cielo, e se discende dal cielo c’è da aspettarsi che sorprenda e sconcerti il nostro modo ordinario di pensare e di comprendere la realtà. Un giorno, nella sinagoga di Cafarnao, Gesù ha manifestato l’intenzione di comunicare agli uomini la sua vita eterna, e gli ascoltatori sono rimasti stupefatti. Il problema della vita è un problema che ci riguarda, perché, siccome esistiamo, tutti sentiamo che morire è qualcosa che stride, ripugna e contrasta col desiderio naturale di vivere, eppure, fra le poche certezze che abbiamo c’è quella che dobbiamo morire, e allora siamo lacerati fra il desiderio di vivere e la certezza della morte. Gli uomini e le filosofie umane non sono in grado di risolvere e pacificare veramente questa lacerazione. È inutile dire, come a volte si sente, che “la morte fa parte della vita”, sono parole vane che non apportano nessuna luce e nessuna pacificazione reale per il momento critico che tutti dovremo affrontare, servono solo a distrarre dal problema dando l’illusione che non ci sia alcun problema, e invece il problema c’è, perché, che senso ha vivere se poi la morte vince e la vita muore?

Nella sinagoga di Cafarnao un annuncio sorprendente

Solo Gesù ha parole risolutive sulla lacerazione che ci affligge, lui solo dona agli uomini la speranza di una vittoria della vita sulla morte. Dovremmo allora prestare più attenzione alle sue parole, anche se sono piuttosto sconcertanti e non facilissime da comprendere. Nella sinagoga di Cafarnao a un certo punto dice: Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno. È chiaro a tutti che mangiare è la condizione per poter vivere, se non mangiamo moriamo, tuttavia, anche se abbondante, il cibo delle nostre mense non potrà mai impedirci di morire. Per non morire abbiamo bisogno di un altro cibo, ma, per quanto cerchiamo, quest’altro cibo non si trova sulla terra, ecco perché Gesù dice: Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Qui è bene considerare due cose importanti: questo pane non è una cosa ma una persona, e poi, questa persona non è di questo mondo ma, discende dal cielo, ossia, non è una persona umana ma divina; in quanto persona divina può promettere: Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno.

Per poter vivere e non morire dobbiamo quindi mangiare questo pane che è un pane vivo ed è anche una persona. Già a questo punto le cose incominciano a essere piuttosto sorprendenti, perché la logica del discorso porta a dire che, se vogliamo vivere, dobbiamo mangiare una persona. Allora noi, per evitare lo sconcerto e lo scandalo, interpretiamo le parole di Gesù in senso simbolico, o metaforico, dicendo che: in realtà, non si tratta di mangiare veramente una persona, ma di nutrirci dei suoi insegnamenti e di amare colui che ci ama. Se questa interpretazione fosse vera dovrebbe essere autorizzata da Gesù e dalla sua Chiesa, ma le parole di Gesù non la autorizzano, perché insistono nella direzione di un realismo sconcertante che non attenua lo scandalo, anzi, lo accresce, infatti prosegue: E il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo. Queste parole suscitano un’aspra discussione fra i Giudei, e lungo i secoli le eresie di coloro che non vogliono accettarne il realismo. Veramente il discorso nella sinagoga di Cafarnao conferma l’osservazione di padre Molinié secondo cui: “È impossibile che Dio non ci sconcerti sempre più fino al giorno della visione faccia a faccia”.

Parole sconcertanti

Ai Giudei che chiedevano: Come può costui darci la sua carne da mangiare? Gesù non risponde, ma insiste: In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete [avrete] in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Se l’interpretazione simbolica del discorso di Gesù fosse vera, non c’era ragione di insistere con queste scioccanti parole e con questa solennità: In verità, in verità io vi dico; invece, esse acquistano senso proprio per escludere un’interpretazione simbolica del suo discorso. Gesù non risponde ai Giudei perché annuncia ciò che farà, ma non dice ancora come lo farà; le sue parole si concretizzeranno durante l’ultima cena.

A questo punto è inevitabile prendere una posizione nei confronti di Gesù: o considerarlo pazzo e andarsene; oppure fargli credito, perché, nonostante le sue incomprensibili e dure parole, sentiamo che è degno di fiducia. Di fatto, lungo i secoli ci saranno sempre coloro che scelgono di andarsene e altri che scelgono di rimanere. Infatti: Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui (Gv 6, 66). Pietro riassume le motivazioni di coloro che vogliono rimanere: Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio (Gv 6, 68-69).

In chi rimane può però sorgere la seguente obbiezione: i discepoli fedeli a Gesù, che hanno fatto ciò che lui ha detto, sono comunque morti, come può allora dire: Questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia (Gv 6, 50), e: Chi mangia questo pane vivrà in eterno? Bisogna rispondere che l’effetto del cibo che Gesù darà vale sia per il corpo, sia per l’anima, ma i tempi dell’effetto sono diversi, l’efficacia per il corpo si vedrà nell’ultimo giorno, perché: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno, mentre per l’anima l’effetto incomincia subito: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna.

La Vita come la intendiamo noi e come la intende Gesù

È importante avere la consapevolezza che fra Gesù e noi possono sempre sorgere dei malintesi, se non facciamo molta attenzione rischiamo di non comprendere o di fraintendere le sue parole; qui il malinteso può sorgere intorno a due diverse concezioni della “Vita”, nel senso che, ciò che Gesù intende per vita eterna è molto diverso da ciò che intendiamo noi. Per noi la vita è soprattutto la vita presente, mentre per lui è la vita della gloria; per noi è: movimento, azione, relazioni, emozioni, esperienze, sensazioni, conversazioni… infatti, diciamo che uno è pieno di vitalità quando è impegnato in mille attività: viaggi, studi, sport, volontariato, cultura, arte… tutto questo ha una certa relazione con la vita, ma non è la vera vita, è come un’immagine che deve cedere il posto alla realtà. Eugenio Montale intuisce acutamente che: “Tutte le immagini portano scritto: ‘più in là’”, e don Divo Barsotti ha un pensiero simile: “La vita presente non è la vita della realizzazione. Viviamo soltanto per imparare a desiderare la vita”.

Quando Gesù rende noto cos’è veramente la vita, rischiamo di rimanere delusi, perché: Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo (Gv 17, 3); ma dove sono qui i movimenti, i suoni, i colori, le emozioni, le attività, le relazioni, che ci fanno vivere e a cui siamo tanto attaccati? Gesù non è conosciuto, seguito e amato, perché non troviamo in lui ciò che sommamente amiamo, e abbiamo anche l’impressione che voglia toglierci ciò che amiamo. E c’è del vero in questa impressione, ma nessuno può amare e seguire Gesù se lui non si manifesta e non ci fa intravvedere la bellezza di un volto e di un amore, superiori a tutti i beni a cui siamo abituati e che ci sembrano tanto preziosi e desiderabili. Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna (Mt 19, 29).

Cambio di natura

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Quando noi mangiamo avviene una transustanziazione, la natura della pasta o del pesce cambia, la pasta e il pesce diventano “natura umana”, in quanto assimilati da un corpo umano; qualcosa di simile avviene quando mangiamo la carne e il sangue di Gesù, ma in questo caso non siamo noi ad assimilare Gesù, ma è lui che assimila noi, così da formare con lui un solo corpo; corpo che partecipa alla sua stessa vita: Colui che mangia me vivrà per me. Ma la vita di Gesù è conoscenza e amore di Dio, questa conoscenza e questo amore il sacramento dell’Eucaristia cerca di trasferire vitalmente in noi. Possiamo inoltre considerare la seguente analogia: come il pane e il vino cambiano di natura divenendo corpo e sangue di Gesù dopo la consacrazione, così, chi si nutre di quel pane e di quel vino partecipa della natura divina di Gesù, quindi, a poco a poco, agirà secondo la sua natura divina, il che vuol dire, conoscere come lui conosce e amare come lui ama. Le parole: vivrà per me, le possiamo intendere secondo una doppia causalità: causalità efficiente, nel senso che Gesù è la causa della nostra vita; e causalità finale, nel senso che il fine della nostra vita è Gesù.

Tutto il discorso di Gesù, l’insegnamento della Chiesa sull’Eucaristia e l’applicazione pratica che ne deriva, possono dare l’impressione di qualcosa di molto teorico, di non verificabile, di non provato sperimentalmente, di non molta incidenza pratica. Questa impressione dipende da un curioso paradosso: più le cose sono consistenti e preziose per Dio, meno lo sono per noi; e inversamente: più le cose sono importanti e preziose per noi, meno lo sono per Dio. Ma questo accade anche perché c’è sempre un momento in cui dobbiamo avere fiducia in ciò che Gesù dice, senza vedere immediatamente la realizzazione di ciò che dice. Questo non è illogico o assurdo, perché l’atto di fede richiesto è necessario per provare la bontà del nostro amore; se una persona ama si fida della persona amata, invece, chi non ama tende a contestare e a non fidarsi. Ogni vero amore comporta, prima o poi, un momento in cui l’amante deve avere fiducia nell’amato, senza questo momento, che è un momento di prova, l’amore non può, né durare, né crescere. Gesù ci dona poi dei validi motivi per credere, il più grande è la sua risurrezione; se ha potuto ridare la vita al suo corpo morto, il suo corpo vivo, che ci chiede di mangiare, può dare anche a noi la sua vita.

L’incidenza pratica dell’Eucaristia la possiamo vedere con una certa evidenza in ogni santo canonizzato, infatti ogni santo è diventato tale a causa dell’Eucaristia, nessuno ha voluto farne a meno. Nell’inno “Adoro te devote” di San Tommaso d’Aquino, c’è un frammento che ci conviene pregare con una certa insistenza, in latino suona così: “Fac me tibi semper magis credere, in te spem habere, te diligere - Fa che io possa credere sempre più in te, sperare in te, amare te”.

Miracoli eucaristici

Ma tutto questo può non bastare ancora; lungo i secoli e lungo il corso della nostra vita, possono sorgere, di tanto in tanto, dei dubbi sulla presenza reale del corpo e sangue di Gesù nell’Eucaristia, allora Gesù, nella sua grande bontà, ci offre gli aiuti per dissiparli, e lo fa attraverso i miracoli eucaristici. Dall’inizio del cristianesimo ai nostri giorni ne ha prodotti innumerevoli in diverse nazioni. Il servo di Dio Carlo Acutis ne ha documentati un gran numero in un sito internet da lui ideato. I miracoli eucaristici si possono dividere in due grandi categorie: miracoli temporanei, e miracoli permanenti. Vediamo un esempio per entrambe le categorie.

Nel 1227 a Rimini, un eretico cataro di nome Bonovillo, non credendo nella presenza reale di Gesù nell’Eucaristia, sfida Sant’Antonio da Padova: lui terrà a digiuno la sua mula per tre giorni, poi metterà davanti alla mula della biada, se la mula non mangerà la biada ma renderà omaggio all’ostia consacrata che Antonio presenterà nell’ostensorio, allora lui si farà cristiano cattolico. Tutta la città è a conoscenza della sfida e nel giorno convenuto accorre in piazza per vederne l’esito. Antonio si presenta con l’ostensorio, Bonovillo con la biada, e la mula con la sua fame. Antonio ordina alla mula di rendere omaggio al suo Creatore e questa, contrariamente alle attese, si avvicina all’ostensorio e piega le ginocchia anteriori obbedendo all’ordine di Antonio. La sfida è vinta e l’eretico mantiene la promessa.

Nel 750 a Lanciano, in Abruzzo, avviene invece un miracolo permanente. Un monaco, mentre celebra la Messa, ha dei dubbi sulla presenza reale di Gesù nell’ostia che sta per consacrare, Gesù gli risponde, non a parole, ma mostrando a tutti, anche a noi, l’ostia trasformata in carne e il vino in sangue. Dopo 1220 anni, nel 1970, le autorità ecclesiastiche decidono di fare degli esami scientifici sulle Reliquie. È incaricato il dottor Edoardo Linoli dirigente dell’ospedale di Arezzo, professore di anatomia, istologia, chimica e microscopia clinica. Nel mese di marzo del 1971 sono pubblicati i risultati: la carne e il sangue sono di natura umana, il gruppo sanguigno è AB, come quello del sangue presente sulla Sindone, il gruppo è caratteristico delle popolazioni mediorientali; le proteine appaiono distribuite come in un sangue fresco normale; inoltre, il sangue è diviso in 5 grumi, ognuno pesa 15,85 grammi ma, sorprendentemente, il peso complessivo dei 5 grumi è ancora di 15,85 grammi. Non è stata riscontrata la presenza di sali o sostanze conservanti. Il frammento di carne è un tessuto di carne vivente, appartenente al miocardio e al ventricolo sinistro. Le reliquie sono ancora a Lanciano, esposte nella chiesa di San Francesco (costruita sopra l’antica cappella del miracolo).

La Santa Vergine dissipi i nostri dubbi e aumenti la fede nelle sorprendenti imprese di suo Figlio.

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  • Ultimo aggiornamento 09-01-2024

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    Non è così facile comprendere le Scritture - Il centro delle Scritture - Un progetto singolare - Non è una questione di belle parole.

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    Il re cerca altri commensali - Un invito accolto con poco entusiasmo - Situazioni impossibili - Due volte indegni - Un pericolo mortale.

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    Un racconto paradossale e drammatico - Ci bastano le feste umane - Come si uccidono i messaggeri di Dio - Apparente ingiustizia.

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    Non ho nulla da offrirgli - Un singolare amico - Non conosciamo noi stessi - Fatti per un altro mondo ...

  • La parabola degli operai nella vigna (Mt 20, 1-16)

    Difficoltà  di comprendere un comportamento ingiusto - Ingiustizia che torna a nostro favore - Chi consola questa parabola.

Consapevole che le meditazioni proposte non sono che incerti balbettii, faccio appello alla carità  del lettore perché vengano accolte con benevolenza. In fondo, davanti a Dio, siamo tutti dei bambini bisognosi di imparare a parlare l'unica lingua che si parli nel suo Regno, la lingua dell'amore.

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