Meditazioni sul Vangelo

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Med. br119

La guarigione del cieco nato (GV 9, 1-41)

 Cieco nato

L’episodio della guarigione del cieco nato si trova solo nel vangelo di Giovanni, il racconto è molto ampio e ricco di particolari, è come un mare immenso in cui sono possibili diverse e impegnative esplorazioni. S. Agostino diceva che se avesse dovuto spiegarlo in tutti i suoi aspetti non gli sarebbe bastato un giorno intero. Evidentemente, S. Agostino era uno che aveva una buona vista, perché riusciva a vedere in questo episodio così tanti insegnamenti da poterne parlare per più di un giorno; noi non li vediamo perché siamo ciechi, non materialmente, ma spiritualmente.

La ragione per cui Gesù è venuto nel mondo

Se è vero, ed è vero, che siamo ciechi, allora, questo episodio dovrebbe riguardare anche noi. Infatti, Gesù dice: Io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi. Quindi, secondo il pensiero di Gesù, gli uomini si dividono in due categorie: quelli che vedono e quelli che non vedono; ma i più fortunati sono quelli che non vedono, perché sono almeno un passo avanti agli altri, in quanto possono, se vogliono, beneficiare della ragione per cui Gesù è venuto nel mondo: perché coloro che non vedono, vedano. Mentre, quelli che vedono, devono prima diventare ciechi per poi essere guariti da Gesù e riacquistare la vista. Detto in altri termini, quelli che vedono, in realtà credono di vedere, ma non vedono veramente, e se insistono a dire che ci vedono la loro cecità rimane: Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: "Noi vediamo", il vostro peccato rimane.

Ci sono dunque i vedenti e i non vedenti, ma cosa vedono gli uni e cosa non vedono gli altri? I vedenti guariti vedono Gesù, mentre i non vedenti non lo vedono. Il fine che Gesù si propone nel guarire il cieco nato è che giunga a riconoscerlo come suo Signore, e così diventi figlio della luce (Gv 12, 36); infatti, Giovanni racconta che dopo essere andato a lavarsi alla piscina di Sìloe e aver acquistato la vista, Gesù lo interroga: «Tu, credi nel Figlio dell'uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. In questo dialogo vediamo anche che Gesù utilizza l’espressione Figlio dell’uomo per riferirsi indirettamente a sé stesso.

L’ostinazione dei farisei

Giovanni ci mostra inoltre l’ostinazione dei farisei nel non voler riconoscere il miracolo nel cieco guarito; infatti, cercano vergognosamente mille pretesti per non credere a quanto è accaduto: interrogano a più riprese colui che era cieco, interrogano i suoi genitori, vogliono sapere ogni cosa, ma non con retta intenzione; dicono che Gesù è un peccatore in quanto, secondo loro, guarire di sabato è peccato gravissimo; il cieco guarito è insultato, scacciato dalla loro presenza e dalla sinagoga; tutto per non arrendersi alle evidenze, le quali condurrebbero a riconoscere Gesù come inviato di Dio e Salvatore, e proprio in questo consiste la loro cecità: non voler vedere Gesù; anche se presuntuosamente dicono: “Noi vediamo”, “Noi sappiamo”, “Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?”. Ma come potevano vedere se erano così ostili alla Luce, tanto da fare di tutto per spegnerla?

Gesù dice di sé stesso: Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo; non è quindi possibile vedere alcunché se non nella sua luce, lo dice bene il salmo: Alla tua luce vediamo la luce (Sal 35, 10). C’è quindi un’enorme differenza fra vedere Gesù o non vederlo, chi lo vede è nella luce, vede bene e sa dove va, ma chi non lo vede brancola nel buio e non sa dove va, rischia così di fare molto male a sé stesso e agli altri, tanto più male quanto più è convinto di vedere bene.

Gesù vede la cecità dell’uomo

Anche questo episodio è un condensato dell’opera della redenzione: Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita. Gesù vede lo stato in cui si trovano gli uomini, allora passa per questo mondo con il desiderio di salvarli; tutti gli uomini, fin dalla nascita, sono come ciechi che giacciono nelle tenebre e nell’ombra della morte (Lc 1, 79), hanno perso l’amicizia con Dio, non lo riconoscono più, non lo comprendono e si fanno del male a vicenda: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio (Rm 3, 23); Chi ama suo fratello, dimora nella luce e non v'è in lui occasione di inciampo. Ma chi odia suo fratello è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi (1Gv 2, 10-11). Da notare che Gesù guarisce non perché il cieco lo supplica, come altre volte è accaduto, ma di sua iniziativa opera la guarigione; il cieco non chiede niente, non supplica, non si rende nemmeno conto che Gesù sta passando, è Gesù che passando lo vede. Essendo cieco e mendicante, è particolarmente adatto a rappresentare lo stato in cui si trova l’umanità. L’uomo che onestamente si interroga e accetta di togliersi le maschere, deve riconoscere di non vedere bene le cose che veramente contano, ossia la ragione e il fine della sua esistenza, cosa c’è o non c’è dopo la morte, come mai il suo desiderio di vita si scontra con la certezza della morte, cosa veramente vuole Dio da noi, perché ingiustizie, malvagità e orrori, da secoli, devastano singoli, comunità, nazioni, e non si trovano rimedi, anzi, ogni presunto rimedio peggiora le cose?… In profondità, ogni uomo è un mendicante di senso, di amore, di luce, di qualche motivo per non disperare.

Uno strano modo di guarire

Gesù passa per guarire ogni malattia e illuminare ogni oscurità, ma il suo modo di guarire è piuttosto strano: sputa per terra, fa del fango con la saliva, spalma il fango sugli occhi del cieco e gli dice: «Va' a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Fin qui, il cieco non ha detto una parola, si è semplicemente lasciato fare, ha ubbidito ed è guarito. Evidentemente, quelle di Gesù sono azioni simboliche di cui non è facilissimo cogliere il significato, appunto perché partecipiamo alla cecità che affligge ogni uomo, e la difficoltà che abbiamo nel comprendere, questa e altre azioni di Gesù, ne è la conferma.

È strano e paradossale mettere del fango sugli occhi di uno che non ci vede, più che a guarire l’azione sembra adatta a peggiorare le cose. Tuttavia il cieco non protesta, ma ubbidisce, e così dovremmo fare anche noi tutte le volte in cui non capiamo quello che il Signore sta facendo nella nostra vita, soprattutto quando agisce in modo completamente opposto a quello che ci aspetteremmo.

Forse, considerare un processo di guarigione a livello fisico può aiutarci a comprendere. Se uno non sente nessun dolore, e non ha nessun disturbo, difficilmente andrà dal medico, ma quando sente male subito corre da lui, perché desidera guarire, e a tal fine è disposto a fare quanto il medico gli prescriverà. Il guaio è che molto spesso la nostra anima è malata senza sapere di esserlo, pur essendo ciechi siamo convinti di vederci bene, allora, il fango che Gesù spalma sugli occhi ha lo scopo di renderci consapevoli della cecità, nessuno può pretendere di vedere bene con del fango sugli occhi: io sono venuto… perché… quelli che vedono diventino ciechi; il fango rappresenta quindi la malattia a cui porre rimedio, ma non può esserci rimedio senza consapevolezza della malattia e senza desiderio di guarigione, il rimedio sarà poi nel seguire le indicazioni del medico, il quale dice: Va' a lavarti nella piscina di Sìloe. Quindi, la guarigione non è immediata, richiede ubbidienza e perseveranza, esige un certo cammino con ancora il fango sugli occhi.

Ma non è per niente scontato che noi lasciamo libero Gesù di spalmarci il fango sugli occhi, ci difendiamo da lui alimentando l’illusione di non essere affatto ciechi, il fango sugli occhi da fastidio e fa male, eppure Gesù, per guarirci, deve a volte darci fastidio e farci male. In questi casi il nostro comportamento è come quello di chi prende un antidolorifico pur di non andare dal dentista o dal chirurgo; troppo spesso preferiamo attenuare i sintomi anziché curare la malattia.

Ma se riconosciamo la nostra cecità, e questo avviene se non rimuoviamo il fastidio e il dolore per non vedere bene il senso della nostra vita, del progetto di Dio, del suo modo di governare la storia del mondo e la nostra, il senso delle sue parole, delle sue esigenze, il senso di certi fatti dolorosi… allora il Signore ci prescrive il rimedio di andare a lavarci in una certa piscina alimentata da un’acqua speciale. L’andare alla piscina con ancora il fango sugli occhi serve a provare, sia la sincerità del nostro desiderio di guarigione, sia la nostra docilità nell’ubbidire alle indicazioni del medico. Se ad esempio, dopo alcuni passi, ci fermassimo alla prima fontana e con quell’acqua ci togliessimo il fango dagli occhi, non guariremmo affatto.

L’acqua della grazia e il suo surrogato

La piscina da cui attingere l’acqua che veramente ha il potere di togliere il fango dai nostri occhi è sempre Gesù, il quale ha un’acqua viva (Gv 4, 10) capace sia di dissetare, sia di curare ogni malattia, è lui l’Inviato del Padre per la nostra salvezza, e noi dobbiamo lavarci con l’acqua della piscina che ha nome: Inviato; ma Gesù è presente nella Chiesa e agisce in essa con i suoi sacramenti. La grazia che riceviamo dai sacramenti è come un’acqua che a poco a poco lava i nostri occhi; solo la grazia ha il potere di eliminare il fango che ci impedisce di vedere ogni cosa secondo i pensieri di Dio.

Ma noi siamo dei fenomeni tali che riusciamo anche a vanificare l’azione della grazia, perché, lungo il cammino che conduce alla piscina di Sìloe, cediamo alla tentazione delle fontane che dicono: “Prendi la nostra acqua e lavati con quella”. Questo accade quando pensiamo che sia più comodo e meno doloroso “vedere” ogni cosa secondo il pensiero del mondo. Comodamente seduti sui nostri divani ci lasciamo lavare dall’acqua che sgorga abbondante e assordante da ogni mezzo di comunicazione; ciechi come siamo non ci accorgiamo dell’enorme potere che hanno coloro che gestiscono questi mezzi, nel formare la nostra vista, ossia nel deformare il nostro modo di pensare, di giudicare, di comprendere la realtà. L’acqua delle fontane è dannosa e pericolosa in quanto trasmette la sensazione di vedere bene e di star bene, infatti vediamo bene, ma secondo il pensiero del mondo, non secondo il pensiero di Cristo (1Cor 2, 16); quando uno crede di vedere, non ha più un desiderio efficace della luce di Cristo, così, vanifica molto il potere dei sacramenti e rimane più a lungo nelle tenebre. L’acqua delle fontane ci da la sensazione di stare bene, ma come può star bene un drogato sotto l’effetto della droga. Qualche buon cristiano potrebbe dire: Siamo [forse] ciechi anche noi? Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: "Noi vediamo", il vostro peccato rimane. Come abbiamo già osservato, secondo Gesù ci sono solo due categorie possibili: coloro che non vedono, sono quelli che lui vuole guarire, e coloro che credono di vedere, e questi Gesù li farà diventare ciechi: Io sono venuto… perché… quelli che vedono, diventino ciechi; quindi, noi, a quale delle due categorie apparteniamo?

Un problema troppo difficile

All’inizio dell’episodio i discepoli interrogano il loro Maestro: Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco? Rispose Gesù: Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Questo è un pensiero di Gesù rispetto al quale siamo completamente ciechi. Molti sono completamente indifferenti ai problemi che suscitano queste parole e non “vedono”: né la loro importanza, né la loro complessità, né la profondità della risposta di Gesù; altri preferiscono non porsi troppe domande, potrebbe essere pericoloso. Un altro segno della nostra cecità è che, nella varietà di spiegazioni che ascoltiamo, non siamo in grado di distinguere bene: quelle vere, quelle insufficienti, quelle completamente erronee. Un esempio di spiegazione insufficiente è: “Il cieco nato ha dato a Gesù l’opportunità di manifestare le opere di Dio”, è vero, ma la spiegazione è incompleta perché non dice nulla sulla causa che ha prodotto la cecità in quell’uomo, ed è quello che volevano sapere i discepoli; per questo San Tommaso d’Aquino dice che: “Questa interpretazione non è giusta” e argomenta ampiamente su tutta la questione.

Ma trattare come si deve la domanda dei discepoli e la risposta di Gesù, seguendo le convincenti argomentazioni di S. Tommaso, è superiore alle forze e alla luce di chi ha cercato di balbettare qualcosa intorno a questo episodio. Per chi, giustamente, desiderasse comprendere di più, il rimedio è sempre quello indicato da Gesù, ossia, camminare con il fango sugli occhi fino alla piscina si Sìloe, vale a dire: accettare il fastidio e il dolore di non capire, non eliminare il fastidio e il dolore dimenticando il problema o accogliendo spiegazioni errate o insoddisfacenti, pazientare e perseverare, anche a lungo, fino a quando l’acqua della grazia farà cadere il fango dai nostri occhi; non meritano infatti la luce coloro che non dimostrano di volere la Luce.

La Santa Vergine ci aiuti a seguire le indicazioni di suo Figlio perché i nostri occhi siano guariti.

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Consapevole che le meditazioni proposte non sono che incerti balbettii, faccio appello alla carità  del lettore perché vengano accolte con benevolenza. In fondo, davanti a Dio, siamo tutti dei bambini bisognosi di imparare a parlare l'unica lingua che si parli nel suo Regno, la lingua dell'amore.

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