Meditazioni sul Vangelo

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Med. br110

Ecco l'Agnello di Dio (Gv 1, 19-34)

L’evento che caratterizza l’inizio della vita pubblica di Gesù è il suo battesimo nel Giordano. Infatti, per farsi battezzare da Giovanni Battista, Gesù, da Nazaret in Galilea, scende fino in Giudea. Lui, che essendo l’immacolato Agnello di Dio non aveva bisogno di alcun battesimo per purificarsi dai peccati, tuttavia, si mette umilmente in fila con i peccatori come se fosse carico di peccati. Il gesto compiuto da Gesù è di natura profetica e sintetizza tutta l’opera della redenzione, è come un motivo musicale eseguito all’inizio di una sinfonia e poi variamente riproposto durante l’esecuzione.

Nel vangelo di Giovanni la narrazione dell’evento comprende due giorni, nel primo Giovanni Battista risponde alle domande dei giudei che vogliono sapere se è lui il messia; dice loro di non esserlo perché: Io battezzo nell’acqua. [ma] In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo. Questo modo di esprimersi lascia intendere che i giudei non conoscevano il messia che era già in mezzo a loro, ma Giovanni lo conosceva, tanto che vedeva bene la differenza fra la grandezza di Gesù e la sua piccolezza: a lui io non sono degno di slegare il legaccio del sandalo. Questa osservazione è importante perché, stranamente, il giorno dopo Giovanni dirà di Gesù: Io non lo conoscevo.

Il mistero e l’opera di Cristo sono tali, per cui anche coloro che già servono Cristo non conoscono completamente, né Cristo, né molti dettagli del suo piano di salvezza, così, ogni discepolo e ogni servitore, in parte conosce e in parte non conosce, e questo dovrebbe rendere tutti molto umili; dovremmo almeno sospettare che sono più le cose che non conosciamo di quelle che conosciamo: Noi contempliamo solo poche delle sue opere (Sir 43, 32). A questo proposito il cardinale Giacomo Biffi fa notare che: “La volontà di Dio nei nostri confronti resta un mistero insondabile, che eccede sempre ogni possibile progresso della nostra comprensione e si rivelerà pienamente solo nella visione della vita eterna”. La vita presente è il tempo degli interrogativi, le risposte le avremo in quella futura.

Quando Giovanni Battista vede Gesù venire verso di lui, dice: «Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Queste “semplici parole” annunciano un doppio mistero: il mistero del peccato del mondo, e quello dell’Agnello di Dio che si propone di toglierlo con il suo sacrificio; già è adombrato il dramma della Croce in cui i lupi sbraneranno l’Agnello. Dall’inizio alla fine i lupi insidiano l’Agnello e l’Agnello con la sua mansuetudine, la sua bontà e la sua sapienza, insidia lo strapotere dei lupi, facendo di tutto per salvare le anime dalla crudeltà del lupo infernale. Il peccato del mondo coinvolge l’Agnello in un “prodigioso duello” in cui si affrontano la Morte e la Vita, la Luce e le Tenebre. La strategia paradossale adottata dall’Agnello è quella di vincere rinunciando a difendersi, rinunciando a ogni violenza, rinunciando a rispondere alle offese con le offese, beneficando i buoni e i cattivi, amando coloro che rispondono al suo amore e amando anche gli ingrati, perdonando i carnefici che lo torturano e lo uccidono. Strategia talmente alta e paradossale che ha destabilizzato anche i discepoli più fedeli, tanto che nell’ora più dura e più buia della lotta: Tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono (Mt 26, 56).

Padre Molinié acutamente osserva che: “I discepoli hanno abbandonato Gesù con l’impressione di essere stati abbandonati da lui; abbandonati nella loro volontà di difenderlo anche a costo della vita”; Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui! (Gv 11, 16); Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori e colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l'orecchio destro (Gv 18, 10). Veramente l’impresa dell’Agnello è un’impresa sovrumana, solo pochi riusciranno a comprenderla un po’. Quando moltiplica i pani ci sono le folle, quando muore, solo pochi intimi. Ma Gesù, che ha perdonato ai carnefici, perdonerà anche a coloro che sono fuggiti nell’ora delle tenebre; lui non vuole altro mezzo per salvare gli uomini se non l’amore e il perdono.

Giovanni Battista dice ancora: Sono venuto a battezzare nell'acqua, perché egli fosse manifestato a Israele. Ecco fine di tutto: la manifestazione di Gesù; manifestazione da cui dipende la nostra beatitudine, la nostra conoscenza e il nostro amore. Ma c’è qualcosa che ci impedisce di vedere e di amare Gesù, ed è la sporcizia che abbiamo sugli occhi, sporcizia che ci viene addosso perché siamo immersi nel peccato del mondo; peccato alimentato anche dai nostri peccati. Allora, per liberare i nostri occhi e il nostro corpo dalla sporcizia, abbiamo bisogno di una doppia immersione, un doppio battesimo: quello di Giovanni e quello di Gesù. Il battesimo di Giovanni rappresenta tutti gli sforzi, indispensabili ma insufficienti, che dobbiamo fare noi per cercare di toglierci di dosso la sporcizia che ci impedisce di vedere e di amare, mentre quello di Gesù compie l’opera di purificazione facendosi carico di ciò che la nostra insufficienza non riuscirebbe mai a compiere: Egli vi battezzerà in Spirito santo e fuoco (Mt 3, 11). Sant’Agostino sottolinea molto il fatto che nel giorno del nostro battesimo siamo stati battezzati da Gesù, perché è sempre lui che battezza servendosi di un suo ministro.

Vediamo poi che la facoltà di Gesù di battezzare nello Spirito Santo è confermata dall’alto, infatti: Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui». Gesù può battezzare nello Spirito Santo perché lo possiede in pienezza; non potrebbe donarlo se non lo possedesse: Il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza (Gv 15, 26); e ancora: Lo Spirito di verità... prenderà del mio e ve l'annunzierà (Gv 16, 13-14); San Paolo dice inoltre: Nessuno può dire «Gesù è Signore» se non sotto l'azione dello Spirito Santo (1Cor 12, 3). L’immersione nello Spirito Santo è un’immersione nella verità ordinata a purificarci e a farci conoscere Cristo, perché anche noi possiamo affermare con Giovanni: Io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio.

La vita cristiana è dunque un lungo cammino di purificazione, un progredire nella conoscenza e nell’amore di Cristo, sotto la guida dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo ha però delle iniziative che non ci aspetteremmo, infatti, il vangelo rende noto che subito dopo essere stato battezzato nel Giordano: Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo (Mt 4, 1). Se lo Spirito Santo vuole positivamente che Gesù sia tentato dal diavolo, significa che la tentazione fa parte del piano di Dio, siamo quindi noi che dobbiamo adeguarci al piano di Dio e non stoltamente pretendere di adeguare il piano di Dio ai nostri corti pensieri, perché ogni volta che lo facciamo combiniamo guai, e ai guai seguono dolori.

Lo Spirito Santo vuole che Gesù sia tentato, non perché soccomba nella tentazione, ma perché sia manifestato il suo potere di vincere ogni tentazione, perché ci sia di esempio e di aiuto quando anche noi, per volontà di Dio, saremo tentati. Ma perché la tentazione è un bene? Perché la vita senza la tentazione sarebbe un male; infatti, se non incontrassimo mai una tentazione, non si potrebbe sapere quanto vale il nostro amore per Dio, invece, proprio lo sforzo, il tormento, la lotta che dobbiamo ingaggiare per vincere le tentazioni, dimostra inequivocabilmente quanto vale il nostro amore per Dio, la nostra rettitudine e ogni altra virtù; per questo Dio la vuole, per premiare l’amore che gli dimostriamo con la fatica che facciamo per rimanergli fedeli. Dobbiamo inoltre credere che il suo amore e la sua saggezza non permetteranno mai che siamo tentati oltre le nostre forze. Gesù e Maria sono stati tentati più di tutti, perché erano i più santi di tutti, i più forti di tutti e i più generosi di tutti; la gloria che hanno acquistato superando ogni tentazione dà loro il potere di effondere su di noi, che non siamo né così santi, né così forti, tutte le grazie di cui abbiamo bisogno per giungere un giorno nella gloria insieme a loro; è bene però sapere che anche per noi Dio riserva delle prove in proporzione alle nostre forze.

Che Maria e Giuseppe ci concedano di seguire l’Agnello fino alla fine, perché possiamo cantare le sue lodi insieme agli Angeli e ai Santi nel suo Regno.

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Consapevole che le meditazioni proposte non sono che incerti balbettii, faccio appello alla carità  del lettore perché vengano accolte con benevolenza. In fondo, davanti a Dio, siamo tutti dei bambini bisognosi di imparare a parlare l'unica lingua che si parli nel suo Regno, la lingua dell'amore.

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