Meditazioni sul Vangelo

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Med. esamedipietro

Gesù esamina Pietro sull'amore

Gv 21, 15 - 19

Una delle manifestazioni di Gesù risorto si è svolta sulle rive del lago di Tiberiade. Pietro con alcuni discepoli esce a pescare, ma quella notte non presero nulla. Sulla riva incontrano un personaggio misterioso che dice loro di gettare la rete dalla parte destra, i discepoli obbediscono ed è una pesca miracolosa. Poi Gesù, ora riconosciuto, mangia insieme a loro.

L’inizio dell’esame

Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?» (v 15). È l’inizio dell’esame di Pietro sull’amore. L’esame, come ogni iniziativa del Signore, ha un andamento piuttosto strano e sconcertante per diversi motivi. Pietro dà l’impressione di essere intimidito e imbarazzato come uno che è coinvolto in una vicenda più grande di lui, come uno studente non troppo preparato quando è interrogato. Ed è effettivamente così, perché il Signore tende sempre a sconvolgere i nostri schemi, a demolire e ricostruire, a farci morire e a farci risorgere, a condurci oltre gli orizzonti terreni, oltre i nostri corti pensieri; è allora normale che ci sentiamo intimiditi, inadeguati, impreparati, spaesati. Dobbiamo subito osservare che la domanda del Signore, per certi aspetti un po’ enigmatica, esigerebbe due sole risposte: “Si, io ti amo più di costoro” oppure: “No, io non ti amo più di costoro”. Sia il vostro parlare sì, sì; no, no (Mt 5, 37) aveva insegnato Gesù ai suoi. Evidentemente, sia Pietro sia noi, abbiamo parecchie difficoltà ad assimilare e a praticare gli insegnamenti di Gesù.

La prima risposta di Pietro

La risposta di Pietro è una via di mezzo fra il sì e il no; Pietro tende a trovare una scappatoia per evitare lo sconcerto di una domanda imbarazzante la cui risposta è molto semplice o impossibile. Pietro risponde: Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene. Risponde cioè come se il Signore avesse voluto sapere se gli voleva bene. Ma la domanda era per sapere se sì o no Pietro riteneva di amare il Signore più degli altri apostoli. Pietro, che sicuramente voleva bene al Signore, non se la sente però di affermare che il suo amore è superiore a quello dei suoi compagni. Non se la sente di affermarlo perché una simile affermazione è impossibile. Noi non sappiamo nemmeno valutare quanto è grande e quanto vale l’amore per Gesù che c’è in noi, figuriamoci se siamo in grado di vedere quanto è grande e quanto vale questo amore negli altri; confrontare poi i diversi amori fra di loro è un compito sovrumano, è un compito che solo Dio sa svolgere. Sant’Agostino a questo proposito osserva che Pietro nella sua risposta, “non aggiunge «più di costoro», risponde solo per quello che sa di se stesso, perché non poteva conoscere il grado d’amore che avevano gli altri discepoli per Gesù non potendo leggere nel profondo del loro cuore” (Trattato 124 su S. Giovanni). Conviene ancora considerare che c’è un modo di intendere la domanda del Signore, che stride, che non suona bene. Se non si fa attenzione, si corre il rischio di comprendere la domanda come se il Signore invitasse o incoraggiasse Pietro a dichiarare di essere il primo della classe, il più bravo e il più amante fra i suoi compagni. Questo modo di comprendere la domanda mi sembra che contrasterebbe con diversi insegnamenti di Gesù. Possiamo pensare alla parabola del fariseo e pubblicano; il primo si compiace e si vanta di essere il più bravo, di adempiere i precetti della legge con una precisione e una perfezione che gli altri si sognano, soprattutto quel pubblicano che in fondo al tempio non osa nemmeno alzare gli occhi al cielo. Ma il Signore dichiara che è quest’ultimo a tornare a casa giustificato e non il fariseo. Nella conclusione della parabola poi, afferma chiaramente che Chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato (Lc 18, 9-14). Per correggere il difetto di coloro che cercano sempre i primi posti, Gesù racconta la parabola degli invitati al banchetto di nozze, in cui dice espressamente di andarsi a mettere all’ultimo posto, perché nessuno può sapere se ci sia al banchetto un invitato più degno di occupare i primi posti. E la conclusione della parabola è ancora: Chiunque si esalta sarà umiliato e chiunque si umilia sarà esaltato (Lc 14, 7-11). Nel vangelo di Marco sono chiaramente indicate le disposizioni interiori che dovrebbero governare i rapporti fra i discepoli: Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti (Mc 10, 43-44). Anche l’insegnamento di San Paolo va nella stessa direzione, infatti, alle comunità a cui scrive raccomanda: Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso (Rm 12, 10; Fil 2, 3). Quest’ultima esortazione non lascia dubbi per le situazioni in cui si presentasse la tentazione di fare confronti, in questi casi tutti gli altri devono essere considerati superiori. Alla luce di questi insegnamenti potremmo chiederci: qual è la risposta che Gesù si aspettava da Pietro? Possiamo forse dire che Gesù non poteva esigere una risposta impossibile e non poteva volere una risposta in contrasto con i suoi insegnamenti. Proviamo allora a sentire come suona una diversa risposta. Se Pietro avesse detto: “Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene, ma non posso dire di volerti bene più di costoro; io per tre volte ti ho rinnegato, loro questo non l’hanno fatto”. Il Signore non avrebbe forse gradito una risposta su questo tono e non gli avrebbe più detto Pasci i miei agnelli?

La seconda domanda di Gesù

Il fatto che Gesù insista a interrogare Pietro, forse significa anche che la risposta ottenuta non era stata molto soddisfacente e allora è offerta a Pietro una nuova possibilità. Con tono solenne, per la seconda volta, Gesù chiede a Pietro: Simone, figlio di Giovanni, mi ami? In questa seconda domanda c’è una difficoltà in meno, non è più chiesto a Pietro di confrontare il suo amore con quello dei suoi compagni. Pietro risponde: Certo Signore, tu lo sai che ti voglio bene. Ma, anche questa volta, Pietro risponde come se il Signore avesse voluto sapere da lui se gli voleva bene; il Signore però, non gli aveva chiesto se gli voleva bene, ma se lo amava. Per cercare di capire bene e apprezzare il più possibile ciò che sta accadendo in quest’ora presso il lago dobbiamo farci aiutare da chi conosce la lingua greca. Chiederemo aiuto al papa Benedetto XVI che nell’udienza generale di mercoledì 24 Maggio 2006 ha detto cose molto interessanti su questo dialogo fra Gesù e Pietro. Dobbiamo sapere che nella lingua greca, la lingua con cui sono stati scritti i vangeli, ci sono diversi verbi per indicare l’amore, ogni verbo riassume o indica un amore di un certo tipo, un amore che ha caratteristiche particolari. Il papa dice che in questo dialogo “si rivela un gioco di verbi molto significativo”. I verbi in questione sono “agapáo” e “filéo”. “Agapáo” viene utilizzato dal Signore nella prima e nella seconda domanda, mentre Pietro nelle sue risposte utilizza sempre il verbo “filéo”; nella terza domanda anche il Signore utilizzerà il verbo “filéo”. A differenza della traduzione precedente la nuova versione della CEI cerca di evidenziare questo gioco di verbi traducendo le domande di Gesù con “… mi ami?” e le risposte di Pietro con “… ti voglio bene”, mentre la terza domanda sarà: “… mi vuoi bene?” e la risposta di Pietro sarà ancora “… ti voglio bene”. La cosa interessante è cercare di capire i possibili significati di questo gioco di verbi, per scorgere le luci o le prospettive che possono sorgere dell’episodio. Prospettive e luci che ci consentono di conoscere meglio chi è Dio e chi è l’uomo, l’immensa misericordia di Dio e l’immensa miseria dell’uomo, cosa accade quando la misericordia di Dio si prende cura della miseria dell’uomo per sollevarlo e condurlo a poco a poco sulla via che conduce all’intimità divina. Il papa dice che le caratteristiche dell’amore indicate dal verbo “agapáo” sono quelle di un amore “senza riserve, totale e incondizionato”, un amore che, se le circostanze lo richiedono, è disposto a dare la vita per la persona amata. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici (Gv 15, 13). Possiamo allora dire che il verbo “agapáo” indica il più grande e il più pregiato di tutti gli amori. Mentre “il verbo «filéo» esprime l’amore di amicizia, tenero ma non totalizzante”, un amore che, se le circostanze lo richiedono, non se la sente di dare la vita per la persona amata, è un amore che ha un certo pregio ma non è il massimo degli amori possibili.

Le implicite affermazioni di Pietro

Dobbiamo considerare ora che Pietro, “nella sua presunzione”, nella sua “imprudenza colpevole” (Sant’Agostino) aveva a parole dichiarato sia di amare il Signore più di tutti gli altri sia che avrebbe dato la vita per Lui, ma, come spesso accade, alle parole non erano seguiti i fatti. Verso la fine dell’ultima Cena Gesù rivela in anticipo agli apostoli le cose che stanno per accadere e dice loro: Tutti rimarrete scandalizzati, perché sta scritto: «percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse». Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea. Sentite queste parole Pietro interviene e audacemente dichiara: Anche se tutti si scandalizzeranno, io no! (Mc 14, 26-29). Il che equivale a dire: “Se tutti si scandalizzeranno io non mi scandalizzerò, perché io ti amo più di costoro”. Allora Gesù prosegue: In verità io ti dico: proprio tu, oggi, questa notte, prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai. Queste parole sono come della benzina sul fuoco, infatti il cuore ardente e imprudente di Pietro divampa e, con grande insistenza, con l’autorità di uno che sa il fatto suo, per la seconda volta dichiara: Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò. Affermare di essere pronto a morire per la persona amata significa affermare di avere il più grande di tutti gli amori: l’àgape. Per questo Gesù gli chiede nella prima e nella seconda domanda: Simone … mi ami tu (agapâs-me)?. Ma dopo che è successo quello che è successo, Pietro non può più rispondere in modo affermativo, allora risponde utilizzando il verbo “filéo” che indica un amore inferiore rispetto all’àgape. “Signore ti voglio bene (filô-se), cioè «ti amo del mio povero amore umano»”… “Signore ti voglio bene come so voler bene”, così commenta Benedetto XVI. Conviene di nuovo osservare che sia alla prima che alla seconda domanda Pietro non risponde correttamente con un si o un no come le domande richiederebbero, ma cerca delle scappatoie per non confessare i suoi limiti. Se Pietro avesse risposto a questa seconda domanda: “Signore, tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene, ma non posso dire di volerti bene fino a dare la vita per te, io che di fronte a una giovane portinaia ti ho rinnegato” (Gv 18, 17), possiamo pensare che il Signore non gli avrebbe più detto: Pasci le mie pecore, Lui che vuole esaltare coloro che si umiliano? Conviene qui osservare un atteggiamento comune a Pietro e a noi, atteggiamento o tendenza a nascondere davanti a Dio le nostre povertà, i nostri limiti, il nostro peccato; noi vorremmo nascondere tutto questo mettendo avanti il nostro “povero amore umano” senza doverne riconoscere i limiti e le insufficienze o confessare le disavventure a cui questo povero amore umano a volte ci conduce.

Pietro abbandonato dal Signore

A questo punto dobbiamo però considerare bene un fatto, ossia che Pietro era effettivamente disposto a dare la vita, a morire per il Signore, ma, come acutamente osserva padre Molinié op, Pietro più che abbandonare il Signore si è sentito abbandonato da lui quando avrebbe voluto tagliare le orecchie e le teste di coloro che volevano catturare Gesù. Mosso da un amore ardente per il Signore Pietro era disposto a dare la vita per lui secondo una prospettiva umana, prospettiva per cui uno può dare il suo corpo alle fiamme senza avere la carità, senza avere l’àgape (1 Cor 13, 3). Ma Pietro non poteva avere una prospettiva diversa fino a quando il Signore non gliel’avesse mostrata durante la sua passione e lo Spirito Santo, nel corso degli anni, non gliel’avesse fatta assimilare. È bene ora chiederci: Pietro e i suoi compagni, dove erano stati condotti dal Signore? Erano stati condotti a essere i testimoni di un “prodigioso duello” in cui la morte e la vita, la luce e le tenebre, si sarebbero affrontate nella battaglia decisiva. In questo prodigioso duello vi è una duplice manifestazione: da una parte il volto orribile delle tenebre, conseguenza del peccato, e dall’altra il volto inimmaginabile della Misericordia che affronta le tenebre come un Agnello condotto al macello. È inoltre importante considerare come le schiere in campo non sono composte soltanto da forze umane ma sono composte soprattutto da forze sovrumane. Allora, quando la battaglia divampa, tutto ciò che è soltanto umano si rivela assolutamente inadeguato ed è ridotto in frantumi. Infatti sia in Pietro, sia negli altri discepoli, saltano tutti gli schemi mentali, tutti i criteri di giudizio e le loro attese nei confronti del Signore; la loro comprensione di Dio e delle vicende umane non regge più; lo smarrimento, la fuga, l’angoscia, prendono il sopravvento; il loro povero amore umano per il Signore, su cui speravano di poter contare, si rivela inadatto a farli attraversare quell’ora. Considerando quindi bene l’importanza e il peso di questi eventi, possiamo tentare di rendere più esplicita la seconda domanda del Signore: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami a tal punto da rimanermi vicino quando la malizia degli uomini e dei demoni ripetutamente si abbatterà su di me fino a farmi morire”. Evidentemente Pietro non se la sente di rispondere in modo affermativo perché fatti recenti sono lì a testimoniare il contrario, ma non se la sente neanche di rispondere negativamente come sarebbe stato più conforme sia allo spirito di umiltà sia ai fatti. Allora la sua risposta è ancora una via di mezzo che, come propone il papa, suona un po’ così: “Signore ti voglio bene come so voler bene”. Il fatto che il Signore non abbia reso più esplicite le sue domande può essere il segno di una grande misericordia e delicatezza nei confronti di Pietro, come se il Signore non avesse voluto calcare la mano, come se non avesse voluto caricare Pietro di un peso che non era ancora in grado di portare, e allora ha lasciato che Pietro comprendesse le domande come era in grado al momento di comprenderle. Il peso che probabilmente Pietro non era ancora in grado di portare era l’acuta consapevolezza della sua miseria, della sua povertà, della sua cocciutaggine che a più riprese aveva voluto e ancora vorrebbe sostituire i propri giudizi a quelli di Dio.

Nato per fare il capo

Pietro è evidentemente un capo, spesso vorrebbe governare lui, perché in certi casi e in certe situazioni si ritiene più esperto e più saggio del Signore. Infatti, quando Gesù dice ai discepoli che a Gerusalemme dovrà soffrire e morire, Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai» (Mt 16, 21-22). Sul monte Tabor è ancora lui che prende in mano la situazione e dice: Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè, una per Elia (Mc 9, 5). A Cafarnao, dopo il discorso sul Pane di Vita, molti discepoli se ne vanno, e quando Gesù chiede: Volete andarvene anche voi? è Pietro che interviene e indica a tutti l’atteggiamento giusto: Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna (Gv 6, 68). Quando durante l’ultima cena Gesù lava i piedi ai discepoli, Pietro protesta: Signore, tu lavi i piedi a me?... Tu non mi laverai i piedi in eterno!Se non ti laverò, non avrai parte con me. Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo! (Gv 13, 6-9). Sempre durante l’ultima cena: Tutti rimarrete scandalizzati predice Gesù, ma Pietro assicura: Io no!, … Tu mi rinnegherai…, ma Pietro con grande insistenza replica: Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò! (Mc 14, 30-31). Il sottinteso di questa affermazione è: “Io conosco me stesso e le vicende umane più di quanto le conosci tu”. Robe da matti, di cui spesso anche noi siamo protagonisti. Quando i soldati e le guardie vengono per catturare Gesù, è lui che maneggia la spada e taglia l’orecchio di Malco servo del sommo sacerdote (Gv 18, 10). Dopo la risurrezione è lui che decide di andare a pescare con alcuni discepoli; l’iniziativa in un primo tempo non avrà molto successo (Gv 21, 2-14). Con simili predisposizioni e premesse, Pietro è il candidato naturale al governo del collegio apostolico e della Chiesa, ma la formazione necessaria per tale incarico è piuttosto sconcertante.

Il fatto che il Signore vorrebbe condurre sia Pietro sia noi a prendere coscienza della nostra povertà, e che senza di lui non possiamo far nulla (Gv 15, 5), è indicato molto bene da quanto è successo quella notte e quel mattino sul lago. L’iniziativa di Pietro e dei suoi compagni termina con un fallimento totale: quella notte non presero nulla, ma questo clamoroso fallimento diventa l’occasione in cui una misericordia al di là di ogni immaginazione trasforma il fallimento in sovrabbondanza di vita. La lezione in sé è molto chiara, ma noi facciamo fatica a comprenderla e a praticarla con una certa agilità. Infatti, la rigidità di Pietro, figura della nostra, si manifesta anche in occasione della terza domanda di Gesù.

La terza domanda di Gesù

In questa terza domanda che, insieme alle due precedenti, discretamente ma fermamente suggerisce un collegamento con il triplice rinnegamento di Pietro, vi è un cambiamento di verbo. Gesù non utilizza più il verbo «agapáo», che indica il massimo e il più prezioso degli amori, ma utilizza il verbo «filéo» che indica un amore inferiore. La nuova versione della CEI traduce così: Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene? (fileîs-me). Pietro questa volta risponde correttamente: Signore tu conosci tutto tu sai che ti voglio bene (filô-se). La risposta è più facile perché l’amore richiesto in questa terza domanda è meno esigente rispetto a quello richiesto nelle precedenti. E il Papa commenta: "Verrebbe da dire che Gesù si è adeguato a Pietro piuttosto che Pietro a Gesù!". Questo adeguamento di Gesù a Pietro lo possiamo scorgere anche dal fatto che Gesù si rivolge Pietro non chiamandolo Pietro, che è il suo nome secondo la grazia, ma Simone, figlio di Giovanni, che è il suo nome secondo la natura, perché la natura è l’unico piano in cui Pietro è al momento in grado di rispondere.

In questa terza domanda dobbiamo ancora considerare un fatto molto significativo, così riportato da Giovanni: Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «mi vuoi bene?». Questo dolore o tristezza rivela che in Pietro c’erano un pensiero e un giudizio secondo cui il Signore non avrebbe dovuto insistere così a lungo nell’interrogarlo sull’amore, lui già due volte aveva risposto e forse pensava anche di aver risposto bene. Emerge qui, ancora una volta, la tendenza di Pietro e nostra, di voler rinchiudere o ridurre le iniziative di Dio nei limiti angusti dei nostri corti pensieri. Viene fuori ancora una volta la pesantezza e la rigidità dell’uomo che non sa rispondere con agilità e serena fiducia alle iniziative di Dio. Dio parla all’uomo, gli parla d’amore, e l’uomo si rattrista. Ci sarebbero tutti i motivi per perdere la speranza e la pazienza. Ma Gesù non perde né la speranza né la pazienza e, nonostante tutto, continua a dare fiducia a Pietro dicendogli per la terza volta: Pasci le mie pecore.

Riassunto

Potremmo a questo punto tentare di riassumere l’esame di Pietro sull’amore alla luce di quanto è appena successo nell’episodio della pesca miracolosa. Conviene partire dall’intenzione di Gesù di dare la vita e di darla in abbondanza, ma la vita che vuole dare Gesù non è di questo mondo, è qualcosa che proviene direttamente dal mondo di Dio. Anche l’uomo è in cerca di vita, ma l’unica vita che è in grado di procurarsi è quella che può ottenere dai beni di questo mondo, per questo Pietro e i suoi compagni escono a pescare. Ora, sembra inevitabile fare prima o poi l’esperienza di come i beni di questo mondo non siano assolutamente in grado di darci la vita, infatti: quella notte non presero nulla. Ma, dopo l’esperienza del fallimento, è comunicata miracolosamente la sovrabbondanza di una vita che proviene da Dio stesso, è la pesca miracolosa seguita dal banchetto finale. Qui, i discepoli giungono a conoscere più profondamente chi è Gesù e chi è Dio. Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo (Gv 17, 3). Quanto è successo in modo visibile e fisico sul lago, è simile a ciò che deve succedere in modo invisibile e spirituale nel cuore di Pietro e nostro a proposito dell’amore. Noi, come Pietro, ci muoviamo nella vita mossi da una capacità di amare che è umana, naturale. Questa capacità naturale di amare è rivolta in varia misura verso Dio, verso i fratelli e verso le cose, sembra tuttavia inevitabile che prima o poi dobbiamo fare l’esperienza del limite e dell’insufficienza del nostro amore naturale. Questo limite e questa insufficienza sono soprattutto manifestati quando in qualche modo siamo condotti ad affrontare l’ora delle tenebre, ossia a prendere coscienza del volto orribile del peccato che c’è in noi e attorno a noi. In quell’ora, più che incoraggiati a dichiarare un amore verso Dio e verso i fratelli a cui vorremmo poterci appoggiare, ma che in realtà scricchiola da tutte le parti, siamo invitati a confessare un amore verso Dio e verso i fratelli che non c’è; questa confessione sarebbe per noi molto utile e fruttuosa perché renderebbe il nostro cuore contrito e umile, ossia capace di ricevere ciò che solo Dio può donarci: il suo Spirito, il suo Amore, l’àgape. Un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi (Sal 50, 19). Come l’esperienza del fallimento totale in occasione della pesca è stata necessaria perché si manifestasse la gloria della sovrabbondante generosità divina, così l’esperienza umiliante della nostra incapacità di amare è necessaria perché possa manifestarsi la straordinaria tenerezza di Dio che vuole rimediare al nostro non amore donandoci il suo amore, l’unico capace di farci funzionare in ogni circostanza secondo le sue vie e i suoi pensieri.

Teresina di Lisieux e don Divo Barsotti

Può essere utile e interessante ascoltare ora l’insegnamento di Santa Teresina di Lisieux e alcune intuizioni di don Divo Barsotti. Così scrive S. Teresina nella lettera 140: “Gli apostoli senza Nostro Signore lavorarono tutta la notte e non presero neppure un pesce, ma la loro fatica era accetta a Gesù. Voleva mostrare loro che lui soltanto ci può dare qualche cosa. Voleva che gli apostoli si umiliassero… Figlioli, dice loro, avete nulla da mangiare? (Gv 21, 5) Signore - rispose san Pietro - abbiamo pescato tutta la notte senza prendere nulla (Lc 5, 5). Non avevano nulla, e così Gesù riempì subito la loro rete fino al punto da farla rompere. Ecco qual è il carattere di Gesù: dona da Dio, ma vuole l’umiltà del cuore”. Di don Divo Barsotti riportiamo i seguenti pensieri: “Prima che Dio salvi l’uomo, bisogna che l’uomo esperimenti fino in fondo la sua incapacità di agire; bisogna che sperimenti fino in fondo l’inutilità della sua vita e della sua morte”. E ancora: “La presenza del Cristo rivela all’anima il suo vuoto”. E per finire due ciliegine sulla torta: “Quando il niente sta nel suo niente, Dio lo santifica”… “La riuscita di una vita religiosa è il suo fallimento”. Queste non sono frasi ad effetto dette solo per stupire, per mania di essere originali o per spirito di contestazione, esse sono un commento azzeccatissimo e sorprendente all’episodio che stiamo meditando. Se Pietro avesse potuto beneficiare dell’insegnamento di questi maestri, forse avrebbe superato brillantemente l’esame. “La riuscita di una vita religiosa è il suo fallimento”… infatti, come il fallimento totale della pesca notturna e l’umiliazione che questo ha comportato sono stati necessari perché Dio riuscisse finalmente a manifestare la sua generosità e a comunicare il suo dono, così è quando noi accettiamo di stare nell’umiliante consapevolezza della nostra incapacità di amare che Dio ci santifica. La difficoltà, grande come una montagna, è nello “stare”, finché il Signore lo vorrà, in questa umiliante consapevolezza. Anzi, noi non vorremmo nemmeno giungere a tale consapevolezza, la nostra volontà, come quella di Pietro, tende a percorrere una via che va nella direzione opposta.

Suggerimenti

Per aiutarci a comprendere potremmo immaginare la scena seguente: mentre Gesù sulla riva del lago interroga Pietro, Teresina e don Divo Barsotti in qualche modo gli offrono i loro suggerimenti. Gesù dunque chiede a Pietro: Simone, figlio di Giovanni, mi ami? Nella mente di Pietro prende forma la risposta: Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene. A questo punto intervengono i suggeritori e gli dicono: “Attento Pietro, l’amore di cui parla il Signore non è quello che tu hai, ma quello che tu non hai; l’amore di cui parla il Signore è quello che Lui ti vuole dare se umilmente accetti di riconoscere l’insufficienza del tuo povero amore umano. Il gioco a cui ti invita il Signore è quello in cui chi si umilia sarà esaltato, chi perde vince, chi è povero è arricchito, chi è affamato è saziato. È come nella pesca miracolosa, Gesù dona da Dio, ma vuole l’umiltà del cuore. È una logica un po’ strana quella del Signore, ma se vuoi riuscire, se vuoi superare l’esame, devi confessare il tuo fallimento”. Ma forse in quel momento, tutto questo era un po’ troppo per Pietro, e poi, il giorno di Pentecoste doveva ancora venire ed era necessario un certo tempo perché, con l’aiuto dello Spirito, fatti e parole di Gesù fossero meglio compresi. E Pietro comprenderà così bene che un giorno glorificherà il Signore con una morte simile alla sua. L’unica cosa da fare, per lui e per noi, in attesa di quel giorno, è indicata nella conclusione di questo episodio che è anche la conclusione del vangelo di Giovanni, e si riassume in una sola parola: Seguimi. Che il Signore conceda anche a noi la docilità e la perseveranza per seguirlo fino alla fine ovunque vorrà condurci.

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Consapevole che le meditazioni proposte non sono che incerti balbettii, faccio appello alla carità  del lettore perché vengano accolte con benevolenza. In fondo, davanti a Dio, siamo tutti dei bambini bisognosi di imparare a parlare l'unica lingua che si parli nel suo Regno, la lingua dell'amore.

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