Meditazioni sul Vangelo

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Med. cat2_42b

ERANO ASSIDUI NELLA FRAZIONE DEL PANE

(At 2, 42b; Gv 6, 30-69)

Dopo l'assiduità all'insegnamento degli apostoli e all'unione fraterna, l’assiduità alla frazione del pane è la terza pratica che caratterizzava la vita dei primi cristiani.

Le parole frazione del pane stanno a indicare la celebrazione e il mistero dell'Eucaristia. L'Eucaristia è uno dei misteri più profondi e scioccanti del cristianesimo, è un mistero di sapienza e di amore a cui non tutti aderiscono. Il vangelo di Giovanni riporta infatti la reazione dei discepoli quando Gesù nella sinagoga di Cafarnao ha parlato di questo mistero, molti hanno detto: Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo? e da allora si sono tirati indietro e non Lo hanno più seguito (Gv 6, 60-66). In effetti, chi può comprendere l'amore di Dio? Chi può seguirLo nelle sue iniziative, non rimanere perplesso di fronte ai suoi stratagemmi, e non provare un certo timore per le sue esigenze? Gesù avverte: Nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio (Gv 6, 65). Per aderire alle iniziative un po' folli dell'amore di Dio è quindi necessario il soccorso della grazia, e per offrire una valida collaborazione alla grazia conviene coltivare in noi un certo modo di stare al mondo, un certo atteggiamento, che abbia come componenti principali la docilità, l'umiltà, lo spirito di infanzia.

Il fatto di stare al mondo, il fatto di esistere, è essere coinvolti in una vicenda più grande di noi, di cui riusciamo a cogliere solo alcuni aspetti, mentre altri rimangono incomprensibili e misteriosi. Chi ha pensato la realtà nella quale viviamo è una mente divina e non umana, ed è naturale che una mente divina pensi e faccia cose che noi non riusciamo a comprendere pienamente. I misteri della vita e del cristianesimo, sono tuttavia uno stimolo per la nostra intelligenza, la quale, tanto più riuscirà a comprendere, a stupirsi e a gioire delle opere di Dio, quanto più entrerà in sintonia con il suo pensiero, o meglio, quanto più al pensiero di Dio sarà concesso di entrare in comunione con noi. Per tutti è necessaria una Pasqua, ossia un cammino che passando attraverso la morte sfoci nella risurrezione. Infatti, ciò che Gesù propone agli uomini nel mistero dell'Eucaristia è qualcosa che crocifigge e mette a morte l'intelligenza, ma l'intelligenza che si sottomette e per fede accoglie ciò che Gesù propone, giungerà a beneficiare della vita divina che Gesù vuole trasmetterci con questo sacramento.

Proviamo a capire meglio dove Gesù vuole arrivare. Come accennato, Gesù vuole donarci la vita divina così che giungiamo a vivere in virtù di questa vita. La vita divina è qualcosa di diverso dalla nostra vita naturale, tuttavia, se la vita divina non entra in noi, quello che ci attende è la morte; ora, la vita divina è Gesù stesso (Gv 14,6; 1Gv 5,20), allora, se vuole donarci la vita divina, Gesù deve donarci se stesso. È a questo punto che inventa qualcosa di impensabile e di sconcertante, ma non poi così assurdo. Gesù pensa infatti di chiamare il pane e il vino a diventare i segni della sua presenza; offre poi questo pane per essere mangiato e il vino bevuto, chi ne mangia e ne beve, si unisce a Gesù stesso ricevendo il dono della vita divina. Il lato sconcertante della faccenda è che, se così stanno le cose, si tratta di mangiare e bere il corpo e il sangue di una persona vivente. In un certo senso questo è vero, infatti, ai Giudei che discutevano fra loro e dicevano: come può costui darci la sua carne da mangiare? Gesù risponde senza attenuare il lato ripugnante di quanto stava annunciando; dice infatti: in verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita (Gv 6,52-53).

Andarsene o rimanere?

Di fronte a parole come queste, o si è docili, o ci si abbandona come i bambini si abbandonano nelle mani di chi è più grande di loro, oppure ci si irrigidisce e si rifiuta di aderire a una realtà o una dottrina che lascia sconcertati. Molti Giudei e discepoli non si sono sentiti di abbandonare i loro pensieri per accogliere i pensieri di Gesù. Quando si segue Gesù si arriva a un certo punto in cui, o ci si adegua alla sua dottrina e alla sua volontà, e allora ha un senso seguirlo, oppure si vuole conservare una propria dottrina e una propria volontà, e allora non ha più senso stare con Lui; così è successo che molti si sono tirati indietro.

Anche per Pietro e gli altri apostoli le parole di Gesù erano dure e incomprensibili, tuttavia, di fronte all'alternativa di lasciare Gesù o continuare a seguirLo hanno scelto di rimanere, e Pietro manifesta così il suo pensiero: Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il santo di Dio (Gv 6, 68-69).

Queste parole mostrano come l'atto di abbandono di Pietro non sia un atto di credulità, ma un atto fondato sulla conoscenza e sulla fede. Il discorso che avevano appena ascoltato era un discorso folle, ma Colui che lo aveva pronunciato non era un pazzo e loro lo sapevano; avevano avuto infatti più di una occasione per apprezzare il suo equilibrio, la sua sapienza e la sua bontà, allora, di fronte a questa sua uscita sconcertante hanno deciso di fidarsi delle sue parole anche se non le comprendevano, hanno deciso di credere in Lui.

È inevitabile che tutti coloro che seguono Gesù si trovino prima o poi a dover scegliere se fermarsi o proseguire, e chi decide di proseguire non lo potrà fare se non in virtù di un atto di fede e di abbandono. Quello che si tratta di credere a proposito del sacramento dell'Eucaristia è che Gesù vuole comunicarci la sua vita realizzando un'intima unione fra Lui e noi; quest'unione è con il suo corpo, la sua anima, e la sua divinità, l'unione si realizza quando noi mangiamo e beviamo le cose che contengono queste realtà, ossia il pane e il vino consacrati.

Fede e ragione

L'adesione a questa invenzione divina si ha per l'autorità delle parole di Gesù e non perché sia chiaro alla nostra intelligenza come il tutto possa avvenire. È tuttavia utile e doveroso per l'intelligenza fare quanto è in suo potere per cercare di vedere come ciò che il Signore propone non sia poi così assurdo. Un primo aspetto su cui si può riflettere riguarda le similitudini e le differenze fra il cibo naturale e quello proposto da Gesù.

Analogie

È cosa a tutti evidente che il nostro corpo ha bisogno di cibo e di bevanda per vivere, l'uomo tuttavia non ha solo il compito di provvedere per la vita del suo corpo, ma anche quello di provvedere per la vita della sua anima; allora Gesù con il sacramento dell'Eucaristia ci suggerisce l'idea che, come c'è un cibo e una bevanda che danno vita al corpo, così l'anima ha bisogno di un suo cibo e di una sua bevanda per poter vivere. Come il cibo e la bevanda producono piacere e sazietà al corpo, così l'anima ha bisogno di un nutrimento che le porti gioia e pace, e Gesù promette proprio questo quando all'inizio del discorso sull'Eucaristia afferma: Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete (Gv 6, 35). Queste parole definiscono anche l'uomo come qualcuno che ha fame e sete e indicano come la risposta a questa fame e questa sete sia da ricercare nella persona di Gesù.

Purtroppo succede spesso che quando sentiamo il disagio o il tormento della fame, noi pensiamo che sia il corpo ad aver fame mentre in realtà è l'anima, e allora ci lanciamo nell'impossibile impresa di saziare l'anima con il cibo del corpo, ci ritroviamo così con l'anima vuota ed il corpo che scoppia. Di qui la necessità del richiamo del Signore e dell'annuncio di un cibo adatto a nutrire l'anima: Io sono il pane della vita, perché chi ne mangia non muoia (Gv 6, 48-50).

Un'altra cosa importante da osservare è questa: prima che uno mangi, ci sono due corpi separati, il cibo da una parte e colui che mangia dall'altra; dopo che uno ha mangiato, non ci sono più due corpi, ma un corpo solo, e la materia del cibo ha subito una vantaggiosa trasformazione: è passata infatti da materia inanimata quale era la materia del pane, o della cioccolata, a materia animata, in quanto diventa parte del corpo umano a cui si è assimilata; è come se il cibo facesse un passaggio dalla morte alla vita, infatti, il cibo che dà vita al corpo riceve a sua volta vita da esso, essendo il corpo umano reso vivo dall'anima a cui è unito, e Gesù intende proprio farci compiere un passaggio simile a questo. Dice infatti Gesù: la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui (Gv 6, 55-56).

C'è da notare ancora che il pane o la cioccolata che noi mangiamo devono subire una frantumazione, uno sbriciolamento, un annientamento per poter essere assimilati dal nostro corpo e partecipare così alla sua dignità; e questo è ancora simile al cammino di morte e risurrezione che Gesù ha percorso. Per questo cammino è necessario che passiamo anche noi; Gesù lo dice: Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso prenda la sua croce e mi segua (Mt 16, 24). Il cammino di vita che Gesù propone ha quindi due tappe: una è la morte, l'altra è la risurrezione.

Differenze

Proviamo a considerare adesso alcune differenze fra il cibo naturale e quello soprannaturale. Quando mangiamo il cibo naturale accade che colui che mangia trasforma in sé ciò che ha mangiato; quando invece mangiamo il Corpo e il Sangue del Signore accade l'opposto, ossia, colui che mangia viene trasformato in ciò che ha mangiato, cioè in Gesù presente nel pane consacrato. L'uomo, essendo superiore al cibo che mangia lo trasforma in sé, così Gesù, essendo a noi superiore, ci trasforma in Sé anche se siamo noi a mangiare Lui; si ha così, in fin dei conti, che veniamo mangiati da Colui che mangiamo.

Un'altra differenza fra il cibo naturale e quello soprannaturale è questa: che uno sia gentile o prepotente, umile o orgoglioso, buono o cattivo, ugualmente viene nutrito dal cibo materiale; non così per il cibo spirituale, non può pretendere infatti di venire nutrito dal Corpo di Cristo chi non si preoccupa di amare Cristo. L'efficacia del pane della vita dipende quindi dalla nostra collaborazione alla grazia, grazia che in un primo tempo deve necessariamente mettere a morte tutto ciò che si oppone all’amore.

Possiamo osservare ancora questa differenza fra il cibo del corpo e quello dell'anima: quando mangiamo il cibo del corpo l'esperienza del piacere e della sazietà sono immediati, non così per il pane disceso dal cielo, quando lo mangiamo non sperimentiamo infatti un particolare appagamento, non ci sembra di mangiare qualcosa di molto gustoso. Questo fatto, a lungo andare, può creare problemi, mormorazioni, defezioni. Si verifica infatti una situazione analoga a quella degli Israeliti usciti dall'Egitto. Il Signore aveva pensato di sostenerli con un pane disceso dal cielo, ossia con la manna, nel loro cammino verso la terra promessa, ma, dopo un certo tempo, gli Israeliti hanno incominciato a lamentarsi malamente (Nm 11, 1) contro il cammino che il Signore faceva loro percorrere e il cibo che forniva loro, dicevano infatti: Chi ci potrà dare carne da mangiare? Ci ricordiamo dei pesci che mangiavamo in Egitto gratuitamente, dei cocomeri dei meloni, dei porri, delle cipolle e dell'aglio. Ora la nostra vita inaridisce; non c'è più nulla, i nostri occhi non vedono altro che questa manna (Nm 11, 4-6).

Questo episodio ci mostra come lungo il cammino che conduce alla vita, si giunge ad un momento critico in cui c'è il rischio di lamentarsi malamente contro il Signore, di volgersi indietro e ritornare a desiderare i gusti e la vitalità dell'Egitto, questo perché si vede la propria vita inaridire, e i gusti dei meloni, dei porri e delle cipolle non ci sono più. Il problema del gusto e dell'appagamento è in realtà il problema del silenzio di Gesù nel sacramento dell'Eucaristia. Questo è un fatto strano su cui conviene riflettere. Il fatto strano è che: siccome il fine del sacramento è stabilire un'intima unione fra Gesù e noi, sembrerebbe normale che fra due persone così intimamente unite ci debba essere uno scambio sensibile di parole, se questo non avviene si potrebbe pensare che non c'è presenza reale del Signore.

Penso che la risposta a questo problema dipenda dalla corretta comprensione del significato della vita presente. Ora, il tempo della vita presente è soprattutto un tempo di purificazione e di prova, tempo in cui siamo lasciati liberi di deciderci per Dio o per qualcos'altro, mentre il godimento della presenza sensibile del Signore, della sua conversazione e del suo amore, sono piuttosto un frutto che ci verrà offerto dopo la nostra purificazione, sono piuttosto il premio delle prove che avremo saputo superare. Quanto il Signore aveva di indispensabile da dire per la nostra salvezza l'ha già detto nella sinagoga di Cafarnao e negli altri luoghi in cui ha insegnato, poi, oltre le parole, ci ha lasciato lo spettacolo della sua morte e della sua risurrezione. Il nostro compito attuale è quindi quello di praticare i suoi insegnamenti e percorrere la via che Lui ha percorso. Nel sacramento dell'Eucaristia abbiamo così il massimo della sua vicinanza ed il massimo del suo nascondimento; tuttavia, Chi crede ha la vita eterna (Gv 6, 47), perché, posta la fede, seguirà necessariamente, al tempo opportuno, la gioia della visione.

Il divino Prigioniero

Giunti a questo punto, la domanda che potremmo ancora porci è: “Che cosa ci fa Gesù nascosto nel nostro cuore e nascosto nei tabernacoli delle chiese del mondo?”. Si potrebbe rispondere in maniera un po' provocatoria che Gesù, sia nei tabernacoli che nei nostri cuori, fa il prigioniero. La provocazione è per sollecitare la riflessione sull'opera di misericordia che siamo tenuti a compiere nei confronti dei prigionieri.

Gesù è quindi prigioniero: per un verso, del suo amore che lo spinge a fare follie per coloro che ama, e per l'altro della nostra libertà; libertà che rispetta infinitamente e che sola può consentirgli di operare efficacemente nella nostra vita. Gesù, che nel suo amore interamente si dona, attende che anche noi ci doniamo interamente a Lui. L'opera di Gesù nascosto nei tabernacoli e nei cuori, merita tuttavia qualche ulteriore approfondimento. Il fine che Lui si propone è la nostra salvezza; si propone cioè di liberarci dalla morte mediante il dono della sua vita, la sostanza di questa vita divina è un'intima conoscenza e un intimo amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo; quando si raggiunge questa meta finisce la sua e la nostra prigionia ed inizia la beatitudine. Se questo è il fine, l'opera di Gesù nascosto sarà quella di guidarci al suo conseguimento e sostenerci lungo il cammino, cammino che dura tutta la vita e in certi casi anche oltre.

Esodo ed Eucaristia

Questo cammino è simile a quello che gli Israeliti hanno compiuto per passare dalla schiavitù dell'Egitto alla libertà della Terra Promessa. La prospettiva di una liberazione dall'oppressione e dalla schiavitù raccoglie una certa adesione in coloro che si sentono schiavi ed oppressi; così è per noi quando sentiamo parlare di vita eterna, di Gesù che estingue la nostra fame e la nostra sete, di Gesù che dà senso alla nostra vita; allora, come la samaritana al pozzo, e come i giudei nella sinagoga di Cafarnao diciamo: Signore... donaci di quest'acqua... Signore, dacci sempre questo pane (Gv 4,5; 6,34).

Le cose cambiano quando ci accorgiamo che il cammino della vita o la via della liberazione passano per il deserto. Evidentemente il deserto non è un luogo dove il cibo e l'acqua abbondino, anzi, più che altro scarseggiano, e poi c'è un sole che implacabilmente dardeggia su un paesaggio sempre uguale: distese immense di sabbia, distese immense di aridità. La terra che il Signore aveva promesso, quella in cui scorre latte e miele sembra allora un sogno impossibile da realizzare, e il cammino che doveva essere un cammino di liberazione sembra condurre a disagi peggiori di quelli da cui gli Israeliti erano appena scampati. Già Mosè all'inizio della sua impresa, dopo le prime difficoltà, si rivolgeva al Signore con queste parole: ...Tu non hai per nulla liberato il tuo popolo (Es 5, 23).

Questi fatti mostrano come uno dei momenti critici sulla via della vita è quando i beni dell'Egitto: pesci, meloni, porri, cipolle non ci sono più, e i beni della terra promessa non ci sono ancora. Il rischio è allora di ritornare a desiderare quei beni che il Signore ci aveva fatto lasciare perché voleva darcene di migliori. Il rischio è di scoraggiarci perché la nostra vita inaridisce; non c'è più nulla, i nostri occhi non vedono altro che questa manna (Nm 11, 6).

Così Gesù nel sacramento dell'Eucaristia, non ci preserva subito dai morsi della fame e della sete, ma ci stacca progressivamente dai beni di questo mondo - con la conseguente sensazione di avere ancora di più fame e sete - per poterci dare a suo tempo i beni del Cielo; non ci preserva dalle aridità e dai combattimenti, così come gli Israeliti nel deserto sono dovuti passare per aridità e combattimenti, ma ci dona la forza per reggere nelle aridità e vincere nei combattimenti; non ci dona sempre una chiara visione del cammino che intende farci percorrere, ma ci dona la fede e la confidenza che ci consentono di procedere anche quando si fa buio e non comprendiamo bene dove voglia condurci.

Dalla luce alle tenebre e dalle tenebre alla luce

Il profeta Isaia esprime in forma poetica questi modi tipici della condotta del Signore: Renderò aridi monti e colli, farò seccare tutta la loro erba; trasformerò i fiumi in stagni e gli stagni farò inaridire, farò camminare i ciechi per vie che non conoscono, li guiderò per sentieri sconosciuti; questa la prima parte della sua azione, la seconda è più consolante perché ci assicura che: Trasformerò davanti a loro le tenebre in luce, i luoghi aspri in pianura. Tali cose io ho fatto e non cesserò di farle (Is 42, 15-16).

Siamo quindi avvertiti, quando il Signore opera, quando la nostra libertà gli consente di operare, Lui opera in questo modo e non ha intenzione di cambiare strategia. C'è quindi un primo tempo in cui uno vive in virtù dei pesci, dei cocomeri e delle cipolle che ci sono in Egitto, ossia di tutte le cose belle e buone che ci sono nel mondo; tuttavia, se non ci stacchiamo da questi beni ne diventeremo schiavi, come gli Israeliti erano diventati schiavi degli Egiziani; è quindi assolutamente necessario un esodo, ossia un progressivo allontanamento dai beni naturali, simile alla marcia degli Israeliti nel deserto, marcia che li allontanava sempre più dalle cipolle dell'Egitto. La meta di questa marcia è la terra promessa, terra in cui scorre latte e miele, terra in cui non si vive più in virtù e in funzione dei beni naturali, ma in virtù di quelli soprannaturali, vale a dire in virtù di una conoscenza e di un amore di Dio sempre più intimi e profondi.

Il cammino che conduce a questa meta richiede un certo abbandono, lotta contro le tentazioni, combattimenti contro nemici vari, spirito di sacrificio, perseveranza, tutte cose che in noi scarseggiano o per cui siamo poco inclinati, ma in Gesù nascosto nell'Eucaristia abbondano, di qui la necessità di nutrirci di Lui per poter reggere lungo il cammino e raggiungere la meta. Da quanto detto possiamo anche desumere che la presenza di Gesù nel nostro cuore sarà efficace nella misura in cui accetteremo di muoverci o di lasciarci condurre lungo la via che va dall’Egitto alla Terra Promessa, in caso contrario è come se Lui tirasse da una parte e noi dall'altra, la fatica sarebbe tanta ma i frutti pochi.

Per aiutarci a percorrere con buona volontà questo cammino conviene considerare cosa succede a quelli che non partono e che cosa succede a quelli che arrivano. Evidentemente quelli che non partono rimarranno schiavi e moriranno in Egitto, saranno cioè costretti a cercare la vita nei beni naturali; ora, per quanto siano belli, buoni ed appaganti, con l'andare del tempo riusciranno sempre meno a soddisfare coloro che se ne nutrono, sono un po' come la panna montata, per quanto buona, se uno non mangia altro ne rimarrà nauseato e disgustato, e di fatto morirà di fame anche fra l'abbondanza di tutto ciò che si potrebbe umanamente desiderare.

Diverso è il caso di coloro che arrivano; questi sono coloro che, avendo accettato i disagi del viaggio, giungono a trovare nel Pane disceso dal cielo un cibo capace di soddisfare ogni loro fame, cibo che mai stanca, potentemente rinvigorisce ed è pregustazione e speranza di vita eterna. Questi sono lo spettacolo più bello che possiamo osservare su questa terra, sono persone vive, libere, ed hanno trovato il segreto della felicità, sono i santi. I santi sono la più eloquente dimostrazione della presenza reale di Gesù nell'Ostia consacrata. Il santo curato d'Ars faceva questa osservazione: “Non tutti quelli che si accostano alla comunione sono santi o diventeranno tali, ma sicuramente tutti i santi si sono santificati mediante questo sacramento”.

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Meditazioni  Info
  • Ultimo aggiornamento 09-01-2024

    Meditazione sul libro di Giobbe (Capitoli: 1-42)

    La santità di Giobbe - Un principio di giustizia violato - Le due fasi della prova di Giobbe - La protesta di Giobbe - Gli amici di Giobbe - L’inizio di una disputa infuocata - La paura di Dio - Come può essere giusto un uomo davanti a Dio? - Giobbe fa saltare i nervi ai suoi amici ...

  • Il perdono che non può essere concesso (Gv 20, 22-23)

    A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi - che cos'è il peccato? - scoperta di alcuni paradossi - l'abominio del peccato originale - l’appuntamento a cui non possiamo mancare

  • La parabola dei talenti (Mt 25, 13-30 || Lc 19, 11-28) - IIa parte

    Il bisogno di amare - poco e molto, storia in due tempi - le paure del servo malvagio - l’oscuramento della ragione - Dio non ci chiede più di quanto possiamo dare - chi è umile accetta di farsi aiutare - la possibilità della perdizione - tentativo di riflessione sull’inferno - come evitare la perdizione

  • La parabola dei talenti (Mt 25, 13-30 || Lc 19, 11-28) - Ia parte

    Un compito difficile - Ciò che non vorremmo sentire - Il rischio di un malinteso - Cosa si aspetta il padrone dai suoi servi - Il problema del vero bene dell’uomo - Prima il poco, poi il molto

  • La parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro

    Cristo giudica il ricco malvagio - Un caso di impenitenza finale - Esame dei sentimenti del ricco - Il pensiero di Santa Caterina da Siena - La parabola nell’opera di Maria Valtorta - Più di un morto che risuscita...

  • Le riche épulon et le pauvre Lazare

    Le Christ juge le mauvais riche - Un cas d’impénitence finale - Examen des sentiments du riche - La pensée de Sainte Catherine de Sienne - La parabole dans l'œuvre de Maria Valtorta - Plus qu’un mort qui ressuscite...

  • Come mai questo tempo non sapete valutarlo?

    Difficoltà di valutare il senso del tempo - Un compito troppo difficile - L’invito inascoltato - L’inevitabile combattimento.

  • Aprì loro la mente per comprendere le scritture

    Non è così facile comprendere le Scritture - Il centro delle Scritture - Un progetto singolare - Non è una questione di belle parole.

  • Il fico maledetto

    Come gli antichi profeti - L'osservazione di Marco - Senza vie di scampo - L'attacco - Il contrattacco - Sacerdoti, scribi e noi.

  • Gesù esamina Pietro sull'amore

    Le domande di Gesù - Le risposte di Pietro - Pietro abbandonato dal Signore - Nato per fare il capo - Teresina di Lisieux e don Divo Barsotti.

  • Gli invitati al banchetto di nozze - 2

    Il re cerca altri commensali - Un invito accolto con poco entusiasmo - Situazioni impossibili - Due volte indegni - Un pericolo mortale.

  • Gli invitati al banchetto di nozze - 1

    Un racconto paradossale e drammatico - Ci bastano le feste umane - Come si uccidono i messaggeri di Dio - Apparente ingiustizia.

  • Quando Dio resiste alla preghiera ... (Lc 11, 5-13)

    Non ho nulla da offrirgli - Un singolare amico - Non conosciamo noi stessi - Fatti per un altro mondo ...

  • La parabola degli operai nella vigna (Mt 20, 1-16)

    Difficoltà  di comprendere un comportamento ingiusto - Ingiustizia che torna a nostro favore - Chi consola questa parabola.

Consapevole che le meditazioni proposte non sono che incerti balbettii, faccio appello alla carità  del lettore perché vengano accolte con benevolenza. In fondo, davanti a Dio, siamo tutti dei bambini bisognosi di imparare a parlare l'unica lingua che si parli nel suo Regno, la lingua dell'amore.

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