Meditazioni sul Vangelo

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Tempesta sul lago (Mt 14, 22-33)

Tempesta sul lago

I discepoli avevano appena vissuto un momento esaltante, Gesù aveva moltiplicato i pani e i pesci per circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini (Mt 14, 21); così, lo stupore e l’ammirazione suscitati dal miracolo, erano ricaduti in parte anche sui discepoli che avevano distribuito i pani e i pesci alla folla. In quel momento essere discepoli di Gesù non aveva comportato grosse fatiche, disagi o persecuzioni, ma solo ammirazione. Tuttavia, seguire Gesù riserva sempre delle sorprese, in genere è un susseguirsi di consolazioni e desolazioni, di momenti di fervore e di aridità, di alti e di bassi. Il padre Molinié consiglia di fare come i santi, perché “È impossibile che Dio non ci sconcerti sempre più fino al giorno della visione faccia a faccia. I santi hanno infine accettato di essere sempre sconcertati: è diventato il loro pane quotidiano” (Dal libro: Il coraggio di aver paura).

Imbarcati verso il naufragio

L’episodio che seguirà sarà decisamente meno piacevole, già le parole che introducono il racconto non promettono niente di buono: Subito dopo costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo. Gesù non concede ai discepoli il tempo di riposare e di assaporare il momento strepitoso che avevano vissuto, ma subito li imbarca in una nuova avventura. Costrinse i discepoli, come se volesse farli passare per dove non avevano voglia di passare. Inoltre, dovranno passare sull’altra riva da soli, perché lui, dopo aver congedato la folla, salirà sul monte a pregare. Un ulteriore elemento di criticità è dato dall’ora ormai tarda, la luce diminuiva e il buio aumentava.

Non è inverosimile pensare che Gesù sia salito sul monte a pregare, proprio in vista di ciò che i discepoli dovevano affrontare; loro non lo sapevano, ma Gesù sapeva che si sarebbero trovati in una situazione estremamente critica, correvano il rischio di non raggiungere l’altra riva, perché ci sarebbe stato un forte vento contrario e la barca sarebbe stata agitata dalle onde, in una parola, i discepoli correvano il rischio di fare naufragio e di perdere la vita. Per evitare il naufragio e la morte, Gesù sale da solo sul monte a pregare. È possibile vedere in questa scena degli accenni a quanto accadrà durante la Passione, anche allora Gesù salirà su un monte, non solo a pregare, ma anche a morire perché gli uomini non facciano naufragio e abbiano salva la vita.

Verso l’altra riva

Ora, quello che i discepoli hanno vissuto nella traversata verso “l’altra riva”, riassume in modo impressionante la vicenda umana. Anche noi ci ritroviamo in qualche modo “costretti” ad attraversare le acque della vita presente per raggiungere l’altra riva, ossia l’approdo definitivo a cui tende ogni vita. Siamo costretti nel senso che nessuno chiede di esistere, tutti riceviamo l’esistenza come un dono, ma è un dono dinamico, parte da una riva ed è destinato a raggiungerne un’altra. Tra questi due estremi può succedere di tutto, ma soprattutto, succede quanto hanno vissuto i discepoli, i quali, in un primo tempo riescono a percorrere già molte miglia, ma poi, ad un certo punto non riescono più ad avanzare per il forte vento contrario. L’acqua, la barca, le onde agitate, alludono alla grande instabilità della vita presente, nei confronti della quale la nostra barchetta, ossia le nostre traballanti filosofie, le nostre precauzioni, le nostre forze… non riescono a darle molta stabilità, specialmente se si incontrano turbolenze più o meno forti.

Le turbolenze ci sono per tutti, e alcune sono tali da farci rasentare il naufragio, anzi, spesso vediamo intorno a noi persone che fanno naufragio. I discepoli del Signore non sono esentati da questa prova, anzi, sembra quasi che il Signore voglia far vivere a loro l’esperienza amara del fallimento totale, del naufragio e della morte. Ed è significativo che i discepoli rischino il naufragio proprio quando il Signore non è con loro, come per dire che ogni vita è necessariamente destinata al naufragio quando la si attraversa senza il Signore.

Analogie fra la Trasfigurazione e la tempesta

Potremmo anche tentare di scoprire qualche similitudine fra la Trasfigurazione di Gesù e l’episodio della tempesta sul lago; nel senso che, ciò che è accaduto ai discepoli sul monte della trasfigurazione è l’aspetto glorioso che tutti ci attende, mentre la tempesta sul lago è il momento doloroso che purtroppo dobbiamo attraversare. Il grande miracolo non è stato che Gesù sul monte si sia manifestato ai discepoli nella gloria, perché la gloria è la condizione normale di Dio; il miracolo è invece che, incarnandosi, Dio abbia nascosto la sua gloria per condurre verso la gloria noi che ne siamo privi.

Ora, come Gesù sul monte ha manifestato a Pietro, Giacomo e Giovanni, la sua condizione normale, così sul lago fa prendere coscienza ai discepoli di qual è la condizione normale dell’uomo sulla terra. Per un miracolo di misericordia il Signore copre con un velo molta parte della reale condizione nella quale ci troviamo, se non lo facesse la nostra vita sarebbe paralizzata dallo spavento, non riusciremmo a procedere e rischieremmo di morire prima del tempo. Tuttavia, in certi momenti, e a certi discepoli, il Signore toglie il velo e mostra come la vita presente assomigli a una grande tempesta nella notte: tutti attraversiamo la vita su delle acque agitate da forti venti contrari, per cui è praticamente impossibile raggiungere la meta ed è pressoché inevitabile il naufragio. A causa di questo svelamento: i discepoli furono sconvolti… e gridarono dalla paura.

Una conferma del fatto che Gesù ci nasconde gran parte della drammaticità della situazione, la possiamo trovare nella vita dei santi in generale e in quella del curato d’Ars in particolare, il quale, un giorno ha pregato Gesù di mostrargli la sua miseria; è stato così bene esaudito che ha rischiato di essere sopraffatto dalla disperazione. In generale, tutti i santi sono molto consapevoli di essere dei grandi peccatori e lo dicono, non per umiltà, ma perché il Signore, togliendo un poco il velo pietoso che nasconde la loro condizione, svela ciò che in realtà sono. E se sono grandi peccatori i santi, non lo saremo forse anche noi?…

Un’incoscienza che non può durare

I Santi sono le persone più consapevoli della gravità del peccato e delle sue conseguenze; non solo del loro peccato, ma anche del peccato del mondo; e ne soffrono, perché il peccato offende Colui che ci ama. La differenza fra i santi e noi che non lo siamo ancora, è che loro sanno di essere dei grandi peccatori che vivono in mezzo a grandi peccatori, e noi non lo sappiamo. Dice Isaia: Un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito (Is 6, 5). Il fatto di non saperlo ci fa vivere nell’incoscienza e nell’illusione, ma non potremo vivere indefinitamente nell’incoscienza, un giorno dovremo vedere ciò che l’Amore ha fatto per noi e ciò che noi abbiamo fatto all’Amore.

Questo svelamento è un’operazione estremamente delicata a causa degli effetti che può produrre: troppo svelamento può produrre disperazione e morte, troppo poco rischia di lasciarci nell’incoscienza e nell’illusione. È come se fossimo sotto l’azione di due forze contrarie che si equilibrano e ci consentono una certa stabilità: da un lato c’è la nostra grande miseria e il nostro peccato, la cui manifestazione, se avvenisse senza precauzioni, ci farebbe morire; ma dall’altro lato c’è il rimedio alla miseria e al peccato, ossia l’immensità dell’amore di Dio per noi, ma anche l’amore di Dio se si manifestasse senza precauzioni ci farebbe morire.

Diventare consapevoli del peccato che c’è in noi e attorno a noi, ossia del pericolo del naufragio, è doloroso, ma è necessario per conoscere, sia chi siamo, sia chi è Gesù, è necessario per conoscere l’Amore che è Dio e il non amore che siamo noi. Queste due conoscenze, governate dalla saggezza divina, ci purificano e ci santificano, più saremo purificati su questa terra meno dovremo esserlo nel purgatorio, dove nella luce di Dio vedremo chiaramente e dolorosamente, quanto Dio ci ha amati e quanto noi abbiamo trascurato il suo amore.

Fidarsi di Gesù

Il rimedio a tutto è sempre la fiducia in Gesù, che lungo la notte della vita presente è sul monte a pregare per noi, e sa valutare con precisione quanto conviene a ognuno. Infatti, quando giudica che il momento sia venuto, va verso i discepoli angosciati, e li salva. Non viene subito, come noi vorremmo quando siamo oppressi da grande angoscia, ma viene: Sul finire della notte. A questo proposito il cardinale Giacomo Biffi osserva: “Sono i ritardi di Cristo, gli inspiegabili ritardi di Cristo, che mettono a dura prova la nostra pazienza e la nostra fede. Capitano quei momenti, quando tutto sembra andare a rotoli, tutto sembra perduto, e noi abbiamo l’impressione di essere stati abbandonati. Le nostre invocazioni pare che trovino il cielo sordo o distratto. Il Signore non viene. La notte sembra non passare più e noi sentiamo che stanno per esaurirsi tutte le scorte della speranza. Ma alla fine il Signore arriva. Verso la fine della notte, lui che ha detto: Ecco, io sono con voi ogni giorno, fino alla fine del mondo, si rende presente e ci rianima: Coraggio, sono io, non abbiate paura”.

Aspetti singolari

Questo episodio è singolare, perché ci fa riflettere su un aspetto a cui poco pensiamo. Tutti rischiamo da un momento all’altro il naufragio, tutti soffriamo a causa di venti contrari che ci impediscono di raggiungere le mete che vorremmo raggiungere, tutti soffriamo per le tenebre che incombono su di noi, tutti segretamente o inconsciamente speriamo nell’arrivo di un qualche salvatore, ma quando il salvatore arriva abbiamo paura di lui: Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura.

Evidentemente il salvatore che abbiamo in mente noi è diverso dal salvatore che Dio ci manda. Noi vorremmo un salvatore che risolva tutti i problemi sociali, le ingiustizie, le disuguaglianze, la corruzione, i nostri disagi, le nostre paure, le nostre depressioni… Gesù ci salva invece in un modo un po’ diverso da come noi lo immaginiamo. Intanto viene camminando sulle acque, questo significa che viene a noi non per via naturale, ma soprannaturale, e questo è un primo guaio, perché siamo talmente poco abituati al soprannaturale che pensiamo sia un mondo irreale, e così scambiamo la realtà per un fantasma e ne abbiamo paura, infatti, un fantasma evoca qualcosa di inquietante, qualcosa di sconosciuto, qualcuno di cui non sappiamo se l’esistenza sia reale o frutto di una suggestione causata delle nostre menti sconvolte da troppe tempeste.

Ciò che molti pensano di Gesù

Questi sono pensieri e sentimenti di molti nei confronti di Gesù; troppi non sanno - e non si preoccupano troppo di sapere -, se sia una persona reale o immaginaria, se sia un personaggio favoloso o se sia vivo oggi, se i miracoli di cui si sente raccontare siano reali o storie poco affidabili di altri tempi. Gli insegnamenti della Chiesa sembrano inverosimili, adatti a gente ingenua e credulona, storie a cui oggi più nessuno crede. Purtroppo, non credono né ai miracoli, né a certi punti dell’insegnamento cattolico, diversi sacerdoti, religiosi, studiosi, vescovi… l’incredulità è talmente radicata e diffusa che ci si arrampica sugli specchi pur di negare il miracolo e ogni manifestazione del soprannaturale; si tende a demitizzare tutto, a spiegare tutto con argomentazioni pseudoscientifiche, psicologiche, sociologiche, ... Ma nessun surrogato del soprannaturale potrà mai placare la tempesta nella quale rischiamo di naufragare, questa si placa soltanto se permettiamo a Gesù di salire sulla nostra barca: Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».

Gesù non ci salva dall’esterno, sistemando i guai che ci affliggono e poi lasciando che ognuno continui per la sua strada, ma ci salva proponendoci un’alleanza d’amore, vuole salire sulla nostra barca e rimanerci, come lo sposo e la sposa che lasciano il padre e la madre per rimanere sempre insieme e formare una carne sola: L'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola (Mt 19, 5). Il matrimonio cristiano è un sacramento dato per educarci al matrimonio definitivo con il Creatore. San Paolo aggiunge: Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! (Ef 5, 32).

Giunti a questo punto mancano il tempo e le forze per meditare a fondo la vicenda di Pietro che vuole camminare sulle acque come il Signore, possiamo tuttavia approfittare dell’indicazione preziosa che ci offre mentre sta colando a picco. Quando sprofondiamo non ci rimane che gridare come ha fatto lui: Signore, salvami! E il Signore lo salva, e salverà anche noi; non dobbiamo però illuderci di essere più bravi di Pietro, perché, come lui, siamo uomini di poca fede. Dal canto suo San paolo conferma che: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato (Rm 10, 13).

La Santa Vergine ci ottenga il dono della fede necessaria per gridare verso suo Figlio, quando le acque ci giungono alla gola.

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Meditazioni  Info
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  • La parabola degli operai nella vigna (Mt 20, 1-16)

    Difficoltà  di comprendere un comportamento ingiusto - Ingiustizia che torna a nostro favore - Chi consola questa parabola.

Consapevole che le meditazioni proposte non sono che incerti balbettii, faccio appello alla carità  del lettore perché vengano accolte con benevolenza. In fondo, davanti a Dio, siamo tutti dei bambini bisognosi di imparare a parlare l'unica lingua che si parli nel suo Regno, la lingua dell'amore.

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