Meditazioni sul Vangelo

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Gesù trasfigurato (Mt 17, 1-9)

 Gesù trasfigurato

Nella Scrittura, e non solo, spesso vediamo il tutto condensato in un frammento, così che, osservando il frammento, possiamo avere un’idea del tutto. Anche nell’episodio della trasfigurazione di Gesù troviamo riassunti alcuni tratti dell’intero progetto di Dio.

Un anticipo della gloria

Gesù sceglie Pietro, Giacomo e Giovanni e con loro sale su un alto monte, e lì manifesta la sua gloria; per i tre è un’esperienza talmente inattesa e beatificante che Pietro esclama: Signore, è bello per noi essere qui! Dobbiamo però considerare che Gesù non sceglie solo Pietro, Giacomo e Giovanni, sceglie anche ognuno di noi, infatti, fra i possibili esseri a cui poteva donare l’esistenza, ha scelto di dare l’esistenza anche a me, pur non essendo tenuto a darmela: In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo (Ef 1, 4). Ma il fine di ogni esistenza intelligente è la beatitudine, e questa è data dalla visone della gloria di Dio e dall’esperienza di un reciproco amore; la visione poi, alimenta l’amore e l’amore potenzia la visione, inoltre, la beatitudine richiede che gli amanti stiano sempre insieme, per questo il nostro destino è un destino eterno. Quindi, quanto hanno vissuto Pietro, Giacomo e Giovanni, è una figura di quanto ognuno di noi è chiamato a vivere.

Tuttavia, anche per Pietro, Giacomo e Giovanni è stato un momento riassuntivo dell’intera esistenza, infatti, quell’esperienza è durata al massimo qualche giorno, ma poi hanno dovuto scendere dal monte e proseguire il cammino con Gesù non più rivestito di gloria, perché questa si era ritirata lasciando nuovamente il posto alla vita ordinaria. Ma perché Gesù ha voluto manifestarsi nello splendore della gloria? Forse, era per mostrare non solo a parole, non solo con parabole, ma mediante un’esperienza concreta, la bellezza della vita che ci attende; infatti, circa una settimana prima aveva detto: Vi sono alcuni tra i presenti che non moriranno, prima di aver visto venire il Figlio dell’uomo con il suo regno (Mt 16, 28). Però, hanno visto venire Gesù con il suo regno dopo la fatica della salita su un alto monte. La beatitudine è concessa solo a coloro che accolgono l’invito di Gesù a salire con lui il lungo e impervio cammino della vita presente. Da notare che i tre sono saliti senza sapere cosa li aspettava, tuttavia, la loro fiducia e il loro abbandono, sono stati premiati al di là di ogni attesa. Inoltre, la visione di Gesù nella gloria serviva a rafforzare la loro fede nella sua divinità, e questo sarà molto utile per la loro futura missione. Tutto ciò che Gesù fa non lo fa a caso, ma è dettato da saggezza e amore.

Rimedio all’orrore

Ma c’è almeno un’altra ragione che rendeva opportuna la manifestazione gloriosa di Gesù a Pietro, Giacomo e Giovanni, ed è che l’esperienza della gloria doveva fare da contrappeso e bilanciare in qualche modo l’esperienza del contrario della gloria che avrebbero vissuto durante la Passione; questa è evocata dalla presenza di Mosè ed Elia che si intrattengono con Gesù proprio su ciò che lo attende, infatti: Parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme (Lc 9, 31); e mentre scendevano dal monte: Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti». Per reggere nei giorni dell’orrore è necessario beneficiare di esperienze più forti dell’orrore.

Proprio Pietro, Giacomo e Giovanni, Gesù vorrà vicino a sé nell’ora buia dell’agonia nel Getsemani, ma, nonostante il loro amore per il Maestro, nonostante l’esperienza gloriosa sul monte, l’ora delle tenebre li travolgerà. Pietro rinnega, Giacomo fugge, solo Giovanni sarà presente sul Calvario. Le esperienze fatte, gli insegnamenti ricevuti sono dunque caduti nel vuoto? No, perché tutto concorre al bene di coloro che amano Dio (Rm 8, 28), anche il peccato. Nei giorni della passione sperimenteranno al di là di ogni dubbio, la loro debolezza, la loro viltà, la loro presunzione, il loro orgoglio… poi, dopo la risurrezione, beneficeranno ancora dell’infinita misericordia di Gesù che li accoglie con amore nonostante le loro paure e il loro fallimento; conosceranno così più a fondo, sia loro stessi, sia Gesù.

Non parlate a nessuno

Forse, uno dei motivi per cui Gesù ha ordinato di non parlare della loro esperienza sul monte, era per proteggerli dalla vergogna che avrebbe provocato il loro abbandono di Gesù durante la passione; proprio loro che erano stati testimoni della sua gloria non reggeranno nei giorni della sua umiliazione, e questo era motivo di vergogna per sé stessi e di fronte ai compagni. Un altro motivo poteva essere quello di prevenire un certo compiacimento per la grazia che solo a loro era stata concessa. Per quanto grandi, è sempre pericoloso appoggiarsi sulle grazie ricevute, è più sicuro considerare la propria miseria e confidare nell’infinita misericordia di Gesù. Inoltre, il silenzio sulla loro esperienza serviva anche a non suscitare l’invidia degli altri discepoli. Ma forse c’era un motivo ancora più importante, e dipendeva dal fatto che quando Gesù parlava della sua prossima passione e morte, anche i suoi più intimi non lo capivano: Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni (Mc 9, 32), quindi, parlare della trasfigurazione di Gesù nella gloria avrebbe reso ancora più difficile accettare la sua umiliazione.

Grazie speciali per compiti speciali

L’esperienza di Pietro, Giacomo e Giovanni, oltre ad avere un significato valido per tutti, contiene anche un insegnamento particolare, ed è che Dio può concedere a qualcuno grazie speciali in vista di compiti speciali. Se Dio non concede a tutti certe grazie, è perché non tutti sarebbero in grado di portare a termine i compiti a cui quelle grazie sono ordinate, lo dice il Signore: A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più (Lc 12, 48). Non è quindi il caso di invidiare le grazie straordinarie che Dio concede ai suoi santi, perché molto probabilmente non saremmo in grado di affrontare ciò che a loro è richiesto. In generale, ogni grazia comporta una partecipazione più profonda alla passione di Gesù, infatti, ogni grazia aumenta in chi la riceve la luce e l’amore, ma la conseguenza è una più acuta consapevolezza delle tenebre e del non amore che regnano nel mondo. In Gesù c’era la massima luce e il massimo amore, ma questo ha comportato per lui la Croce, ossia la lacerazione insostenibile fra la luce e l’amore che voleva donare agli uomini per renderli beati, e il loro rifiuto della luce e dell’amore che li avrebbe dannati. Insieme a Gesù, ma in diverso grado, vivono la stessa lacerazione Maria, Giovanni e tutti coloro che in varia misura saranno abitati dalla luce e dall’amore di Cristo.

I due momenti della gloria

Conviene ancora riflettere sul fatto che l’esperienza della gloria sul monte ha avuto due momenti: un primo momento, che non ha comportato grossi problemi, in cui i tre hanno gioito nel vedere il Signore e i suoi ospiti abitati dallo splendore di una luce divina, in questo primo momento è come se avessero contemplato la gloria dall’esterno; ma poi la scena cambia e ai tre è stato dato, non solo di contemplare la luce, ma di entrare nella luce e questo passaggio, non banale, ha avuto un aspetto “terribile”, infatti: Una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». All'udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Non c’è niente da fare, l’intimità con Dio a cui siamo chiamati ha un aspetto terribile, ed è ingenuo e puerile trascurarlo; Dio che ha creato il sole ha un amore più incandescente del sole e noi siamo chiamati a entrare nel sole; senza una lunga preparazione e senza le precauzioni del caso ci ritroveremmo inceneriti.

All'udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Che cosa hanno udito i discepoli di così straordinario da finire stesi a terra con grande timore? Hanno udito un frammento del dialogo trinitario fra il Padre e il Figlio; il Padre parla loro del Figlio in cui si compiace e loro non reggono il suono di queste parole, perché sono un momento di vita trinitaria troppo forte per loro. Gesù aveva detto: Nessuno conosce il Figlio se non il Padre (Mt 11, 27), sul monte i discepoli si rendono conto del peso schiacciante di queste parole, si rendono conto di che cos’è la vita trinitaria, ossia del dialogo d’amore fra il Padre e il Figlio, nello Spirito Santo simboleggiato dalla nube luminosa che li avvolge. Da notare che l’evangelista, nella scena della nube, non nomina più Pietro, Giacomo e Giovanni, ma li chiama: i discepoli; come per dire che ogni discepolo è chiamato a fare la stessa esperienza: “terribile” e beatificante. Nella lettera agli Ebrei è detto che: È terribile cadere nelle mani del Dio vivente! (Eb 10, 31). Giovanni farà un’esperienza analoga quando di nuovo vedrà Gesù nella gloria con gli occhi fiammeggianti come fuoco, infatti, nell’Apocalisse racconta che: Appena lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di me la destra, mi disse: Non temere! Io sono il Primo e l'Ultimo il Vivente (Ap 1, 14-17). Ed esperienze simili hanno fatto anche alcuni profeti dell’Antico Testamento.

Preparazione alla gloria

Quindi, ogni discepolo deve sapere cosa lo attende e prepararsi all’incontro. Ma come ci si prepara all’incontro? Esattamente come hanno fatto Pietro, Giacomo e Giovanni, si sono fidati di Gesù, sono saliti con lui sul monte senza sapere bene cosa sarebbe successo loro; sul monte hanno gioito e si sono ritrovati con la faccia a terra, ma poi, Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Queste parole hanno un senso, sono risolutive e beatificanti solo in coloro che, seguendo Gesù, si ritroveranno, prima o poi, stesi a terra presi da grande timore; allora, la vicinanza di Gesù, il suo tocco e la sua parola, anche per noi, dissiperanno ogni timore e ci consentiranno di vivere in un luogo in cui l’amore è più incandescente del sole.

Un aspetto importante che ci prepara all’incontro è il salire su un alto monte; più saliamo più ci avviciniamo al cielo e più ci allontaniamo dalle cose della terra, noi saliamo nella misura in cui il nostro affetto si stacca dalle vanità del mondo e dalla pesantezza della vita presente, per crescere nella conoscenza e nell’amore di Dio, questo è possibile se permettiamo alla luce vera, quella che illumina ogni uomo (Gv 1, 9), di condurci verso l’alto, come Gesù ha condotto verso l’alto Pietro, Giacomo e Giovanni.

La Santa Vergine è l’altro rimedio che Gesù ci offre per prevenire i danni da incandescenza solare, chi a lei si affida se la caverà molto meglio di chi non vuole approfittare del suo amore materno. La sua premura ci aiuti a comprendere e amare queste cose.

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Consapevole che le meditazioni proposte non sono che incerti balbettii, faccio appello alla carità  del lettore perché vengano accolte con benevolenza. In fondo, davanti a Dio, siamo tutti dei bambini bisognosi di imparare a parlare l'unica lingua che si parli nel suo Regno, la lingua dell'amore.

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